Il Kenya viene solitamente inserito in quella vasta regione geografica africana detta «regione Somalo-Tanzaniana» della quale costituisce la parte centrale, posto com’ é tra il lago Vittoria l’Oceano Indiano. Il Kenya, come tutta la sua regione geografica di appartenenza, é caratterizzato da un insieme di altipiani dai quali emergono giganteschi massicci di origine vulcanica (Kilimanjaron Kenya, Meru, Mawensi) ed é limitato ad ovest dalla «Great Rift Valley» (la grande spaccatura geologica che corre per oltre 6500 km dalla Palestina al Mozambico), costellata dai grandi laghi, tra i quali il Vittoria Nyanza é il più importante. L’alternarsi di alte vette, altipiani, laghi e ampie vallate con savane o boscaglie, ha prodotto particolari forme di insediamenti umani individuabili in gruppi di ceppo bantù nelle zone più prossime ai massicci montuosi e in quelle collinari più favorevoli ad una certa economia agricola, in gruppi Camito-Nilotici nelle pianure e sugli altipiani, con un economia basata esclusivamente sull’allevamento. I gruppi negroidi bantù in Kenya hanno subito l’influenza di quelli camito-nilotici, pur conservando caratteristiche generali proprie; in essi si fanno reintrare i kikuvu, kamba, luo, kisii, nzijikenda, kipsigi, pokot ed altri minori. I gruppi Camito-Nilotici comprendono diverse poplazioni di allevatori nomadi, seminomadi o divenuti sedentari, tra le quali le più importanti sono i suk, turkana, masai, nandi e una gran varietà di sottogruppi. I Turkana abitano la zona arida del Kenya Nord-occidentale, appartengono al grosso ceppo karmojong che comprende, oltre ai turkana, i karimojong propriamente detti i tetso, i fie, i dodoth, gli jiye e i toposa, tutti gruppi insediati tra Uganda e Kenya settentrionale. I turkana, tuttavia si differenziano sensibilmente dalla struttura fisica di questi gruppi con i quali sono imparentati, soprattutto per una loro maggiore longelineità che indica una preponderante presenza della tipologia nilotica, con sensibili accostamenti a quella etiopica. Le tribù turkana popolano l’arida area della depressione del lago omonimo ai confini con l’Uganda, sono oltre 80 mila individui dalla struttura socio-economic.a simile a quella degli altri allevatori orientali africani.Tuttavia la vita dei turkana si differenzia da quella deo loro vicini, essendo la loro erea di diffusione estremamente arida e quindi poco funzionale a qualsiasi tipo di sedentarietà prolungata, anche se periodica. L’economia é più prossima ad una forma di pastorizia di tipo arcaico con nomadismo accentuato e con la necessità di integrazione alimentare attraverso altre attività secondarie come la pesca e la caccia. Sebbene soggetti a continui spostamenti alla ricerca di pascoli, i turkana possiedono un tipo di abitazione e di agglomerato abitativo relativamente meno precario di altri gruppi nomadi. Durante le ore diurne la vita si svolge in ripari detti ekal, mentre la dimora vera e propria, usata quasi esclusivamente la notte, é l’akai, un tipo di abitazione molto diffusa in Africa detta anche «capanna ad alveare» che possiede un interno estremamente essenziale. L’arredamento, infatti, è scarsissimo: giacigli rudimentali, qualche suppellettile e il curioso «poggiatesta », necessario a conservare le elaboratissime acconciature maschili dei capelli durante il sonno.Anche l’abbigliamento é molto essenziale, soprattutto gli uomini sembrano prediligere la completa assenza di ogni indumento per dimostrare la loro integrità fisica, mentre le donne s~ coprono generalmente con un gonnellino la cui lunghezza é progressiva con l’avanzare dell’età. Sebbene sia presente una struttura sociale clanica, tra i turkana e i loro parenti karimojong, l’influenza del dan di appartenenza sull’individuo non é così preponderante come per altre popolazioni, ma si limita a regolare alcuni usi (acconciature, comportamenti esteriori ect.) tutti dettati dalle regole del dan di appartenenza. Il turkana, come il karimojong, si sente infatti più legato a coloro con i quali coabita in villaggi provvisori che non al clan o alla famiglia; il legame tra gli individui non sembra essere regolato né da rigide leggi di parentela, né da convenzioni di sorta, ma semplicemente da un più elementare rapporto economico basato sullo scambio del bestiame.ii bestiame, al solito, che regola tutta la vita individuale e sociale dei turkana come di tutti gli allevatori neri orientali, non solo perché assicura la vita con i prodotti che se ne ricavano, ma anche perché rappresenta la mediazione tra l’uomo e il mondo, tra l’uomo e la divinità.con il bestiame che si riesce ad avvicinare il dio akuj, con il bestiame che il popoìo piange e officia. Il bestiame é per il popolo del gruppo dei karimojong base dell’esistenza, un modo di vivere chiarisce J. Battie che ha studiato a lungo le tribù del Kenyanord-occidentale e dell’Uganda nordorien tale.Rapporti individuali e sociali sono basa ti sulla fondamentale risorsa economica e solo attraverso lo scambio di essa e la convivenza con le esigenze dei vari allevatori si consoli-da il gruppo, la tribù, il villaggio.Per quanto concerne i turkana e i gruppi con loro imparentati, non mi sentirei tuttavia di parlare di villaggio vero e proprio, nel senso comune del termine, non solo per le caratteristiche spesso temporalmente limitate degli insediamenti a causa di un certo tipo di seminomadismo, ma anche perché la struttura di un agglomerato generalmente si sviluppa (o perlomeno si sviluppava nella cultura tradizionale) con una concentrazione, più o meno grande ma mai eccessiva, di abitazioni che funzionavano come elementari cellule socioeconomiche basate su quel fondamentale rapporto mediato dal bestiame.Questo tipo di concentramento non funziona generalmente come villaggio in se nel quale tutto é organizzato collettivamente, ma piuttosto come un insieme di piccoli gruppi di capanne indipendenti che hanno rapporti di buon vicinato tra loro e che possiedono in comune il pascolo, un punto d’acqua e uno spiazzo per danze e cerimonie.Sebbene molto simili a quelle dei gruppi karimojang, jiye, toposa, tetso con i quali i turkana sono imparentati, le strutture sociali si presentano più relativamente organizzate, dato il peso sensibilmente maggiore che acquista il dan, sebbene di gran lunga meno importante rispetto ad altri gruppi. Questo aspetto sembra essere in via di sviluppo e da tempo si osserva una dinamica relativa al sorgere di rapporti basati sulla parentela e il dan che si accompagnano a quelli mediati esclusivamente dal bestiame. Il turkana, come molte altre popolazioni di allevatori africani, é essenzialmente un pastore-guerriero, ama e difende il suo bestiame contro uomini e animali, tutta la sua vita ruota attorno a questa sua essenziale funzione alla quale l’uso delle armi é indispensabile, difficile incontrare un pastore turkana o karimojong, o di qualsiasi altro gruppo, disarmato. Generalmente questi fieri abitatori del Kenya settentrionale seguono le loro bestie al pascolo con la loro micidiale zagag
lia o con una pesante cIa va, a volte con arco e frecce e con un curioso bracciale munito di lame affilatissime che sanno adoperare con abilità contro qualsiasi nemico. Alla fierezza maschile corrisponde una non meno fierezza femminile, la donna turkana possiede infatti un suo spazio nell’organizzazione tribale, non tanto in termini di gestione delle attività decisionali, sempre affidata agli uomini, quanto in quelli di una certa libertà di costumi, limitata tuttavia al periodo prematrimoniale, dato che i turkana aborriscono l’adulterio sia maschile che femminile.L’ aspetto più originale ed interessante della organizzazione sociale di questo e molti altri gruppi kenyoti équel particolare tipo di differenziazione sociale, a cui corrisponde una determinata ritualità iniziatica, definito «sistema di gruppi di età».Questo sistema, concerne solo i maschi che vengono inseriti in un gruppo o classe generazionale, i cui appartenenti vengono tutti considerati diretti discendenti della classe generazionale immediatamente antecedente composta da iniziati che, a loro volta, si occupano della iniziazione dei propri «figli», cioé il «gruppo di età» successivo, quando giunge il momento.La denominazione di un gruppo di età é associata ad un animale che éanche il simbolo del gruppo stesso, la cui imposizione viene trasmessa da una classe di «anziani» a quella di «figli» durante il periodo iniziatico. Tale aspetto, tuttavia, non sembra rivestire il valore di una simbologia totemica, ma solo un carattere funzionale nell’organizzazione del sistema, per cui ci sarà un «gruppo di età» che appartiene alla classe generazionale del «leone», un’altro alla «gazzella». Il rapporto tra anziani e figli, cioè tra due differenti gruppi di età appartenenti alla medesima classe, è generazionale ed una generazione diviene anziana dopo circa trenta anni, durante i quali i singoli membri passano progressivamente attraverso van gruppi di età, ogni passaggio é accompagnato da riti e cerimonie più o meno importanti, ma che coinvolgono sempre la collettività. Sebbene la denominazione universalmente accettata dagli etnologi sia quella di «sistema di gruppi o classi di età», in tale dinamica non incide l’età vera e propria dell’individuo, quanto quella iniziatica, così osserviamo che nel medesimo gruppo possono essere presenti membri tra i quali possono correre molti anni di differenza, ma che possiedono lo stesso rango, perché iniziati insieme. La ritualità iniziatica è connessa al trapasso generazionale avviene in determinate località privilegiate considerate sacre, che Grottarelli e Biasutti hanno individuato in una decina di differenti punti tra il lago Turkana (ex-Rodolfo) e la Great Rift Vallev. In questo sistema, il gruppo più anziano ovviamente possiede maggior prestigio e capacità decisionale, pertanto accedervi rappresenta il massimo onore, quando un gruppo giunge all’età iniziatica prestabilita per entrare nell’ultimo gruppo di anziani, si celebra la massima cerimonia rituale. Tutti i gruppi e tutte le tribù si riuniscono per l’avvenimento in una delle località designate dalla tradizione ed é una delle poche occasioni nella quale viene sacrificato un bovino le cui carni consacrate vengono mangiate dai nuovi anziani per entrare in diretto contatto con la divinità e gli antenati e raccoglierne quindi l’energia necessaria alle nuove mansioni del loro rango.
[flickr_set id=”72157626693056994″]
Fonti
- I gruppi Nilo-Camiti, capitolo Masai, Turkana.IGM, Firenze 1983
- Introduzione all’etnografia del Kenya, Universo, Firenze 1984
- Un explorador italiano en kenia, Geomundo, Mexico 1992
- Expedicion Nilo, Capit. IV, Edit. Televisa, Mexico 1996