Niger: il fiume dei Neri
I Tuareg lo chiamano Ghir-N-Igherien “Colui-che-Canta”, gli arabi Djaliba-el-Bahr “Vasto-come-il-Mare”, noi lo conosciamo come Niger “il Fiume dei Neri”, per tutti da sempre è la “vita” al termine delle antiche piste carovaniere del deserto e del Sahel.E’ il terzo fiume africano dopo il Nilo eil Congo, la metà dei suoi oltre quattromila chilometri scorre in Mali verso sud est, dove entra dalla Guinea provenendo dalle sorgenti del Futa Djalon, qui diventa navigabile per circa trecento chilometri fino alle rapide di Sotuba vicino alla capitale Bamako. Dopo una breve interruzione la navigabilità riprende per altri seicento chilometri arrivando a Mopti dove riceve le acque del Bani e nei pressi di Diafarabé si apre in un immenso “delta interno”, un ambiente naturale unico navigabile solo da piccole imbarcazioni verso Timboctu. Scorre ai margini del deserto e si allarga di nuovo fino a Gao, mentre a Bourem si orienta decisamente verso sud est e attraversa gli stati del Niger e Nigeria per sfociare nel Golfo di Guinea. Il suo strano corso, che forma un immenso arco in Africa occidentale, é stato a lungo inaccessibile e avvolto nel mistero, oggetto delle ipotesi geografiche più fantastiche e leggende che ne hanno alimentato il mito, mentre vi fiorivano i regni medioevali del Mali e Songhai, i cui confini arrivavano ai margini del Sahara ed erano incaccessibili agli stranieri. Il grande viaggiatore arabo Ibn Battuta riuscì ad arrivare al gran fiume nel XIV secolo descrivendo per primo il ricco regno nero del Mali, poi il geografo Leone Africano dopo del quale trascorsero quattrocento anni prima che altri bianchi raggiungessero il “Fiume dei Neri” e gli avventurosi viaggi di Mungo Park, Clapperton, Denhan, Lander, Oudney e Caillè divennero leggendari nella storia delle esplorazioni del Continente Nero.Il Niger fu definito geograficamente, ma il suo corso è spiegabile solo con la presenza di un altro fiume proveniente dal Sahara in epoche remote, quando era ancora fertile e popolato dai mitici Garamanti che lo hanno descritto con i loro graffiti rupestri, la tradizione dei Bambara del Mali parla dell’antico fiume Djoliba proveniente dal Sahara e in tutta l’ area desertica a nord di Timboctu e Gao resti fossili testimoniano la presenza di un fiume probabilmente originato nel massiccio dell’ Hoggar che, all’altezza delle saline sahariane di Taudenni, si biforcava formando un bacino nell’ Hodh della Mauritania per scorrere a sud ovest fino a congiungersi con il Niger dove esso punta repentinamente a sud all’ altezza di Bourem.L’antica carovaniera sahariana incontra il Niger a Gao, che da sempre si fa scoprire lentamente come una fanciulla maliziosamente timida al viaggiatore che ha percorso le interminabili distanze del deserto e del Sahel. Sulle vie ampie e sabbiose piene di vita affacciano edifici antichi che si confondono con i più recenti nello stile “neosudanese”, linee e volumi dall’ asimmetrica eleganza concepiti da geniali ed anonimi architetti medioevali al tempo della dinastia degli Askia che ne fece capitale e fiorente centro carovaniero.Secolare ricettacolo di razze e di umori attirati dal grande fiume e i suoi mercati, contadini neri con le loro cose si mescolano agli allevatori che spingono il bestiame ,cammelieri, mercanti, donne dai costumi più diversi, vecchi cantastorie ambulanti griot, mendicanti, militari dalle divise sdrucite e Tuareg che spuntano tra la folla avanzando aristocraticamente. Ancora arrivano a Gao sui dromedari armati dei vecchi spadoni, organizzano o sciolgono carovane, mercanteggiano, si riposano e ripartono sulle vecchie piste del deserto nel loro mondo senza tempo. Nel vecchio porto arrivano le piroghe cariche di pesce e merci da tutti gli altri centri del Niger e caricano quelle arrivate con le ultime carovane, un’ esplosione di colori e ritmi d’ Africa che guizzano tra le bancarelle e le chiatte sul fiume, tra le case di fango e le antiche moschee fino a quando il tramonto dirada i commerci e le donne vanno a lavare i loro panni prorompendo di femminile negritudine e risa cristalline nel magnifico controluce del tramonto sul “Fiume che Canta”.In attesa del traghetto che attraversa il Niger per riprendere la pista verso Mopti, Tuareg armati di spadoni e vecchi archibugi sorvegliano greggi e cammelli e si pavoneggiano tra le ragazze della carovana, neri delle diverse tribù schiamazzano a gruppi e le donne vengono dai mercati cariche di cose, tutti riescono incredibilmente a stiparsi nella chiatta per sbarcare sull’altra riva e riprendere il cammino disperdendosi per gli sperduti villaggi nella savana.Lungo la pista i baobab e termitai si impongono maestosi sulla pianura erbosa dove spuntano pastori Pehul dal copricapo conico e l’ inseparabile zagaglia spingendo capre e bovini rinsecchiti, da lontano la sagoma squadrata dell’ Humbori Tondo si erge massiccia nella caligine opprimente che inaridisce rapidamente la savana dopo le piogge, Ai suoi piedi una piccola oasi aggruppa capanne di fango con le palme che ombreggiano i pozzi scoperti, raduno di donne con le loro calabasse e i panni da lavare nell’ antica antica sosta di carovane.La pista termina a Mopti che era un piccolo villaggio di pescatori Bozo, poi il condottiero El Hadji Omar lo utilizzò come base per le sue spedizioni contro i Fulbe, all ‘inizio del XIX secolo fu capitale dello stato di Macina fondato dai Fulbe islamizzati, i colonizzatori francesi vi crearono il maggior porto fluviale del Mali e il più grande centro di pesca del Niger, dove convergono tutte le popolazioni della regione animandone i mercati e la vita quotidiana.Nel suo corso medio il Niger comincia a ramificarsi nel Ke-Massina e a Mopti riceve le acque del Bani, sviluppandosi in un complesso sistema di bracci principali e secondari, paludi, lagune e banchi di sabbia che occupa una vastissima pianura alluvionale. Il suo immenso”delta interno” che a nord occupa la zona sahariana dell’ erg Niafounke dove si divide nell’ Issa Ber, il Barra Issa e il Koli Koli, collegati tra loro da canali secondari che lambiscono le sabbie del deserto in un paesaggio unico al mondo.Un ambiente dove il limite tra la terra e l’ acqua è così indefinito da far apparire i due elementi perfettamente integrati tra loro, durante il periodo di piena tra settembre a marzo vi sostano grandi colonie di uccelli migratori che nidificano in Europa e in Siberia, arricchendo temporaneamente la grande varietà di specie locali .La vita del delta sembra sincronizzata con le variazioni di calore giornaliere e all’ alba gli uccelli risvegliano l’ ambiente sciamando a migliaia cercando le prede tra l’erba alta e nell’acqua, mentre i pescatori Bozo approfittano delle ore meno calde per uscire con le agili piroghe a pescare. Nel mezzo del giorno tutto si ferma per il calore, l’ ambiente è immobile sotto il sole e nella sottile caligine che si stende tremolante in un’ atmosfera quasi irreale, un silenzio assoluto rotto solo dal remo di qualche piroga che si tuffa nell’acqua e dal grido di un uccello predatore che volteggia per ghermire pesci o piccoli volatili ,poi la vita ritorna gradualmente fino al tramonto, quando gli ucccelli riprendono rumorosi il possesso del cielo e i pescatori tornano ai villaggi. Nel delta interno del Niger da secoli uomini, animali, natura e tempo sono sempre in perfetta armonia tra il cielo, l’ acqua e la terra.Le merci trasportate dalle carovane sulle piste del deserto venivano smistate nei mercati sul Niger di Gao e Timboctu e proseguivano sulle piroghe per la leggendaria Djennè fondata nel XI° secolo da una tribù Sonike e ampliata dai Bozo, poi divenuto il maggior centro culturale dell’impero nero medioevale Songhai. Fu visitata per la prima volta dal grande viaggiatore arabo Ibn Battuta nel XIV secolo che ne rimase ammirato, il secolo successivo fu des
critta dal celebre geografo Leone Africano come una fiorente città fluviale la cui prosperità e il mecenatismo dei ricchissimi nobili e commercianti locali richiamava artisti, poeti e scienziati. Divenne un potente centro militare per la sua posizione strategica sul fiume che, con l ‘acqua alta, la trasformava in un isola imprendibile protetta da mura e fortificazioni, la “Regina del Niger” che dominava il fiume chiusa nelle sue mura con i suoi edifici e moschee dalla raffinata architettura “neosudanese”, gli animatissimi mercati dove arrivavano le merci provenienti dalle savane e le foreste del sud e dal lontano nord arabo attraverso il Sahara. Cominciò a decadere all’i nizio del XIX secolo per i logoranti conflitti con i Fulbe e i Tuareg di Timboctu, poi la colonizzazione francese orientò per via marittima il secolare commercio carovaniero sahariano e il suo tradizionale proseguimento su Niger, riducendo l’antica Djennè in una pigra cittadina fluviale dallo splendido passato di cui conserva gli antichi quartieri.L ‘imponente moschea fu uno dei più importanti centri islamici in Africa occidentale, ampliata e arricchita più volte ,venne quasi distrutta nel 1830 da Cheikou Amadu per ricostruirla in uno stile più austero e consono al suo islamismo ortodosso e integralista. Continua ad essere il centro della comunità di Djennè attorno cui pulsano tutte le attività e il grande mercato del lunedì, da essa si irradiano gli antichi tredici quartieri allargandosi fino alle mura, oltre le quali si stende l’animatissimo porto fluviale dove un tempo giungevano le grandi piroghe cariche di merci che fecero fiorire per secoli la “Regina del Niger”. Tra il Delta Interno di Mopti e Djennè, la navigazione sul Niger-Bani sembra attraversare il tempo e la storia, il territorio è ancora dominio delle tribù Bozo che furono protagoniste del grande traffico fluviale dai centri carovanieri sahariani di Timboctu e Gao alle antiche città dell’ impero Songhai. Le altre popolazioni li chiamano “Maestri d’Acqua” per la grande abilità di navigatori e pescatori, raccolti in piccole comunità claniche che seguono le antiche regole e convenzioni tribali dirette dal capo “Daka“, la cui carica si tramanda da generazioni e risale al clan degli antenati mitici che fondarono la stirpe. E’ assistito dal consiglio degli anziani e condivide l’ autorità con il pescatore più abile della tribù che assume il comando durante le grandi battute di pesca, partecipando alle decisioni del consiglio tribale. I villaggi Bozo si susseguono sulle sponde del Niger, sul quale hanno controllato per secoli la navigazione, i pescatori si muovono creando accampamenti periodici su isolotti sabbiosi o strisce di terra lasciate dalle piene, dove vivono lontani dai villaggi per l’ intera stagione di pesca che anima il fiume con decine di piroghe che stendono le loro reti nelle zone assegnate tradizionalmente a ciascuna comunità. Negli altri periodi gli uomini vivono nei villaggi pescando all’amo da piccole piattaforme in tratti di fiume secondari vicini chiusi da sbarramenti. La pesca regola l’esistenza dei Bozo e il pesce viene distribuito equamente tra tutte le famiglie secondo le antiche regole comunitarie, mentre le eccedenze vengonov endute nei mercati di Djennè e Mopti, ma l’ apparente semplicità di questo popolo è governato da tradizioni complesse dalle origini ancora misteriose. Anche la disposizione dei villaggi ha le sue regole e ognuno possiede il “dormitorio” Saho, una grande capanna abitata dagli iniziati circoncisi, che apprendono le antiche tradizioni diretti dagli anziani fino a quando non formano una famiglia. L’origine dei “Maestri d’Acqua” si perdono nella leggenda che, come per ogni cosa in Africa, si confonde sempre con la storia, forse sono i discendenti della mitica popolazione dei cacciatori Kagoro e Sonnike che abitavano il corso del Niger nell’ antichità, dei quali i Bozo parlano una lingua simile e ne hanno ereditato miti e riti legati alla caccia. Un’altro mito li lega all’agricoltura affermando che il mondo ebbe origine da un “germe vitale” rappresntato da un seme e da un uovo di pesce. Un’ antica leggenda racconta di una terribile carestia che si abbattè sul mondo e tre fratelli si misero in cerca di cibo lungo il fiume, il primo si fermò nella regione di Bamako creando la stirpe dei Bambara che ancora la popola, gli altri due vagarono a lungo e il più giovane stava per morire di fame, allora l’ altro si tagliò un gamba per farlo mangiare e salvarlo. Poi si divisero e il maggiore arrivò nella falaise di Bandiagara dove imparò a coltivare la terra generando la stirpe dei Dogon, mentre l’altro si stabilì lungo le rive del Niger e creò quella dei Bozo.Ancora il mito spiega la storia e ci racconta il “legame di sangue”, perso nella notte dei tempi e della leggenda, tra i pescatori Bozo del Niger e gli agricoltori Dogon che hanno conservato per secoli la loro misteriosa esistenza nella falaise di Bandiagara.