Luigi Maria D’Albertis

Terre inesplorate

Solo avvistata dalle rotte del Pacifico, lontana per secoli dalle esplorazioni nella remota Oceania e a lungo

immersa nell’oblio, la Nuova Guinea rimane ancora una delle terre meno conosciute al mondo, nella zona più interna tra il Papua Niugini e l’ Irian Jaya indonesiano occidentale che si dividono la grande isola.

Un ambiente grandioso e selvaggio dalle alte catene montuose coperte di jungla che separano vallate inaccessibili dove precipitano fiumi tumultuosi, vaste pianure fluviali sommerse da impenetrabili foreste tropicali e paludi che si stendono fino alla costa corallina. Il primo a sbarcare sulla costa sembra fu il portoghese Menezes nel 1527 chiamandola lhas dos Papuas, poi lo spagnolo, Yñigo Ortiz de Retez una ventina di anni più tardi che la chiamò Nuova Guinea per la somiglianza degli abitanti con quelli dell’ omonima regione africana. Incrociata dai navigatori spagnoli, olandesi e francesi , l’ italiano Malaspina ne incrociò le isole orientali e Cook tentò invano di sbarcare ostacolato dagli indigeni, i tentativi di un’ esplorazione dell’ interno erano stati affrontati dall’ italiano Carlo Vidua nel 1828, l’ esploratore tedesco Adolf Meyer , il naturalista britannico Russel_Wallace con l’ olandese Hermann_Rosenberg ed altri, ma le alte montagne, le impenetrabili foreste, il clima insalubre e le popolazioni bellicose fecero desistere nell’ esplorazione dell’ interno.

Le difficoltà di penetrazione e imprevedibili tribù guerriere ancora impediscono la completa esplorazione di questo immenso e selvaggio territorio dove ogni spedizione ricorda antiche avventure dimenticate nel resto nel mondo come un viaggio nella preistoria. Quando organizzai la prima spedizione nelle zone più isolate della Nuova Guinea, conoscevo gran parte dei testi disponibili, comprese le note di Luigi Maria d’Albertis che ne affrontò tra i primi i territori sconosciuti, la regione esplorata dall’ italiano, all’ epoca colonia Nieuw Guinea olandese, era nel Niugini meridionale dal Golfo di Papua a parte delle Highlands ormai di agevole accesso, ma rimane simile a quando d’Albertis la lasciò per l’ ultima volta nel gennaio del 1878, anche se ormai se ne conosce tutto, ma altre zone ancora poco note che ho visitato in alcune spedizioni, potrebbero essere descritte con le stesse note dell’ epoca.

A cinque anni dall’ unità d’ Italia, nel 1867 fu fondata la Società Geografica Italiana da un gruppo di studiosi come l’ esploratore marchese Orazio Antinori ,il botanico Giacomo Doria a cui si deve il Museo di Storia Naturale genovese e il il naturalista naturalista fiorentino Odoardo Beccari che fu tra i primi esploratori del Borneo, oltre erudite ricerche nelle biblioteche, possedevano capacità e spirito per affrontare le regioni del mondo ancora inesplorate, spesso in concorrenza con la più nota, ricca e celebrata Royal Geographical Society britannica. La sempre più prestigiosa Società Geografica italiana si concentrò nelle esplorazioni africane pubblicando i resoconti scientifici e le cronache di viaggio nel Bollettino , tuttavia il continente africano non fu il solo continente a richiamare l’ attenzione degli attivissimi esploratori italiani della Società, in quella seconda metà del secolo vasti territori ancora attendevano di svelare i propri misteri, dalle ignote vie dell’ Amazzonia all’ interno del Borneo e l’ inesplorata Nuova Guinea rimanevano in parte territori sconosciuti al pari delle profondità dell’ Africa.

La prima esplorazione di D’Albertis con Beccari

Nel 1865 Odoardo Beccari prima con Giacomo Doria poi per proprio conto fu protagonista di importanti spedizioni scientifiche in Indonesia e nell’ interno del Borneo partendo dal territorio del Rajah Bianco nel costiero Sarawak con risultati scientifici che riscossero notevole successo internazionale, aprendo la via all’ esplorazione delle regioni ancora ignote di quell’ immensa foresta tropicale che rivelò un’ incredibile ricchezza botanica, zoologica e geologica, poi oggetto di intenso sfruttamento, anche e soprattutto a scapito delle attonite popolazioni dell’ interno rimaste isolate per secoli. Il grande successo della prima spedizione in Borneo nel 1871 ispirò Beccari a intraprendere un’ altra temeraria e forse più impegnativa spedizione in Nuova Guinea dalle coste ormai ben note, ma dall’ interno ancora completamente inesplorato, proponendo l’ impresa al ligure Luigi Maria d’Albertis. Come molti dei suoi contemporanei che si dedicarono a viaggi ed esplorazioni, d’Albertis aveva militato nelle file garibaldine, anche lui rimasto orfano di avventure con l’ Unità d’ Italia e deluso dal nuovo ordine savoiardo pensò di indirizzare altrove il suo slancio avventuroso mai sopito e accettò senza indugi la proposta. La Nuova Guinea , assieme al vasto arcipelago indonesiano era all’ epoca colonia olandese , molto attenta a preservare i suoi domini dalle altre nazioni europee, tra le quali l’ Italia doveva sembrare ai funzionari locali particolarmente insidiosa, a giudicare dall’ accoglienza estremamente diffidente che riservarono ai due esploratori.

Nei loro progetti era l’ esplorazione della regione interna meridionale Utava risalendo il Fly o il fiume Purari, ma la mancanza di assistenza logistica dei funzionari olandesi della colonia e lo scatenarsi delle piogge, impedì loro di seguire l’ itinerario originale e procedettero nella regione montuosa di Arfak, descritta in Un mese fra i Papuani del monte Arfak pubblicato nel 1873, coperta di foreste dove scoprirono e catalogarono un’ incredibile varietà di specie botaniche, tra le quali una sconosciuta pianta della famiglia delle araucarie che venne battezzata Araucaria Beccarii. Scoprirono e catalogarono anche specie conosciute e molte ignote della fauna endemica, insetti strani, rettili e una gran varietà di uccelli come lo splendido Paradisaeidae e l’ imponente Casuarius , anch’ esso chiamato a gloria del capo spedizione fiorentino Casuaria Beccarii, mentre un’ altro volatile simile al tucano fu battezzato Drepaflofinis Albertisii onorando anche il compagno nelle didascalie dei disegni che andarono ad illustrare il loro resoconto. Raccogliendo centinaia di esemplari per i musei naturalistici, catalogando, descrivendo e spesso battezzando con i propri nomi piante ed animali accuratamente preparati per la conservazione, arrivando a liti per la paternità delle varie scoperte e la precedenza nelle descrizione dei reperti, inevitabile tra due personalità così tese al protagonismo. L’ ambiente tropicale, splendido e malsano con il suo clima inesorabile, mise fine alla competizione tra due facendo ammalare d’Albertis di malaria che fu riportato sulla costa e salvato dalla nave Vettor Pisani inviata in soccorso dall’ Italia dove da mesi non si avevano notizie sull’ esito della spedizione e il destino dei protagonisti. Beccari proseguì la missione cercando e catalogando altre specie botaniche e zoologiche, mentre il compagno fu costretto a tornare in patria per curare la sua malaria che rischiava di ucciderlo.

La seconda spedizione in Nuova Guinea

Appena l’ anno dopo nel 1874 fu pronto per ripartire e affrontare un’ altra e più impegnativa spedizione in Nuova Guineache lo consacrò come promo grande esploratore di quei territori. Nel Golfo di Papua sulla costa meridionale sfociano il Purari e il fiume Fly che attraversano vasti territori selvaggi ed inospitali all’ epoca inesplorati, durante la prima spedizione Luigi Maria d’Albertis ne aveva avuto notizie dagli indigeni che raccontavano timorosi di fitte foreste popolate da animali sconosciuti e terribili tribù isolate di cacciatori di teste e forse cannibali, doveva essere quello l’ oggetto della sua impresa. Appena arrivato organizzò subito la risalita del Fly assieme a un missionario australiano, ma l’ incapacità degli indigeni nel governare il battello anche nel timore nell’ affrontare quei territori, impedì alla spedizione di proseguire poco dopo la partenza. Con la sua consolidata tenacia d’Albertis non pensò lontanamente di abbandonare l’ esplorazione e andò di persona in Australia per procurarsi un piccolo e robusto battello a vapore che battezzò Neva e nel 1875 era di nuovo sul fiume che riuscì finalmente a risalire portando a termine un’ impresa considerata impossibile per le difficoltà, l’ ambiente selvaggio e le tribù bellicose, che descrisse nel suo Giornale della campagna di esplorazione del fiume Fly pubblicato nel 1877.

Nel bacino del Sepik esplorato poco dopo dal tedesco Otto Finsch scorre il fiume Karawari più interno del Fly risalito da d’Albertis, ma quando mi avventurai nella prima spedizione in Nuova Guinea per risalirne il corso superiore, avrei potuto sostituire parte delle mie note con le sue, ambiente, flora, fauna, popolazioni isolate e atmosfera mi sembravano simili . Per decenni, almeno fino agli anni Trenta, la sua spedizione fu la più completa in Nuova Guinea, tracciò il corso del fiume e il territorio circostante per la successiva cartografia, raccogliendo e catalogando una gran quantità di piante e animali che si aggiunsero a quelle della prima spedizione con Beccari contribuendo alla moderna botanica e zoologia.

A differenza della prima spedizione, l’ interesse d’Albertis era soprattutto etnografico, ma la sua impreparazione in materia gli impedì uno studio di usi e costumi come si era proposto e ad essa si accompagnò la comprensibile ostilità di quelle tribù guerriere probabilmente del popolo Arapesh che mai avevano visto bianchi e alle troppe fucilate tirate dai suoi uomini a qualsiasi cenno di bellicosità che compromisero definitivamente un approccio pacifico. Lungo il fiume Fly si diffuse rapidamente la notizia di quel battello sbuffante di vapore che lo risaliva con pochi uomini dalle terribili armi che sputavano fuoco, che i guerrieri continuavano ad attaccare su lunghe canoe con i pittoreschi ornamenti di guerra le cui lance e frecce non riuscivano ad arrivare a segno prima di essere respinti a fucilate. Dalle sue note nella sembra che le uniche vittime delle scaramucce fossero state pochi anziani che non potevano fuggire soppressi dai nativi quando abbandonavano i villaggi per non farli cadere in mano nemica come voleva la tradizione. Spesso in villaggi abbandonati non trovava di meglio di assicurarsi almeno il maggior numero possibile di reperti caricando il Neva di suppellettili, statue, maschere, teste decapitate ed essiccate, ornamenti e tutto ciò che poteva alimentare una collezione etnografica, ma correttamente lasciava in cambio utensili, coltelli, stoffe e quanto era contemplato nell’ oggettistica di scambio degli esploratori con le popolazioni locali. Le difficoltà con gli indigeni e gli estenuanti attacchi, il corso superiore del fiume troppo impetuoso che rendeva quasi impossibile procedere con il piccolo battello e la stanchezza dell’ equipaggio indussero d’Albertis a tornare indietro e a progettare una nuova e meglio organizzata spedizione.

Tornato sulla costa carico di reperti già sufficienti per una collezione, ormai con una buona esperienza sulla navigabilità del fiume, la conoscenza dell’ ambiente e delle tribù, a maggio del 1877 ripartiva per risalire ancora il fiume accompagnato da veri marinai cinesi e polinesiani prospettando loro la presenza di oro sul corso superiore verso i remoti monti Star. Ben presto si manifestò quella che era una vera e propria ciurmaglia dei mari del sud, tipi poco raccomandabili che quando si accorsero che di oro non v’ era traccia e, per nulla interessati all’ esplorazione e agli scopi scientifici, si ammutinarono. L’ italiano che si era battuto nelle battaglie garibaldine, affrontato la feccia dei porti, ambienti e popolazioni ostili, non era certo tipo da farsi sopraffare e riuscì ad evitare il peggio, ma fu costretto a rinunciare a quello che era per lui il coronamento dell’ impresa nel raggiungere le sorgenti del fiume tra i monti dell’ interno. Sembra che la reazione di D’ Albertis durante l’ ammutinamento provocò due morti per i quali fu incriminato in Australia e ne dovette subire il processo dal quale uscì assolto prima di tornare in Italia. Forse progettò nuove spedizioni, ma non tornò più in quei territori che, come accade spesso ai veri viaggiatori, avevano conquistato il suo spirito tanto da farsi costruire una casa che aveva progettato sullo stile delle case Haustambaran tribali nella campagna romana dove si ritirò. Oltre a studi e testi di flora e botanica , tra le varie pubblicazioni rimangono le descrizioni della sua Relazione sulla Nuova Guinea del 1879 e in Alla Nuova Guinea. Ciò che ho veduto e ciò che ho fatto pubblicato l’ anno dopo a 1880, ma soprattutto la vasta collezione e documenti e gran parte dei reperti conservati nel Museo antropologico fiorentino e nel reparto di etnografia del grande Museo_etnografico romano fondato da Luigi Pigorini. Anch’ esse fonti che mi hanno accompagnato centoventi anni dopo nel primo dei miei viaggi in Nuova Guinea.

© Paolo del Papa: Viaggiatori ed esploratori. Vol.Oceania: esploratori italiani,D’Albertis.

Photo gallery: New Guinea Papua | New Guinea IrianJaya

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