Dopo venti anni di missione in Etiopia, nel 1866 il religioso Giovanni Stella fondò una piccola colonia agricola nella regione di Sciotél con i compatrioti Ferdinando Bonichi e Pompeo Zucchi, egli invitò esploratori italiani a visitare gli sconosciuti territori limitrofi e fu organizzata una spedizione nel 1870 con il geologo Arturo Issel, il naturalista Odoardo Beccari e Orazio Antinori, tra i fondatori della Società Geografica Italiana, vennero effettuati i primi rilevamenti ed annotazioni scientifiche dell’Etiopia settentrionale, poi pubblicati nel 1872 nella relazione di Issel Viaggio nel Mar Rosso e tra i Bogos, che richiamò l’attenzione di altri esploratori e mercanti. Lo stesso anno Pietro Sacconi vide prospettive commerciali in quelle nuove terre e organizzò una sua spedizione nella regione che prende nome dall’ antica città di Gey Harar visitandone a lungo i territori e le popolazioni locali, per undici anni viaggiò tra gli altipiani etiopici e il territorio dell’ Ogaden dominato dalle tribù somale che ne fecero scempio in un attacco nel 1883.
Dalla sua fondazione nel 1867, la Società Geografica Italiana si fece promotrice delle spedizioni ed esplorazioni in quella che poi divenne l’ Africa orientale italiana delle quali pubblicava le relazioni nel suo Bollettino, nel 1876 affidò ad Orazio Antinori e Giovanni Chiarini l’ esplorazione dello Scioa, con la partecipazione dell’ ufficiale Antonio Cecchi assieme ai naturalisti Landini e Martini Bernardi che giunsero sulla costa etiopica nel 1876 per procedere nella regione, dove fondarono un avamposto a Lit Marefià per esplorne i territori aiutati dal capo locale ras che divenne Menelik II.
Le spedizioni furono interrotte per il conflitto di Menelik contro il Negus Yohannes IV e ripresero solo nel 1878 quando Giovanni Chiarini e Antonio Cecchi partirono per la regione del Caffa trovando missionario Leone des Avanchèrs, ma nel territorio della regina Ghene Fa’ vennero imprigionati nel febbraio del 1879 e solo Antonio Cecchi sopravvisse, poi liberato dal connazionale Gustavo Bianchi dopo un anno e rimpatriato nel 1882. Pubblicò la vasta relazione della sfortunata spedizione con i rilevamenti geografici e ampie note sulle popolazioni locali che ebbe successo in tutta Europa,ma non senza polemiche per i rischi che le eplorazioni in Etiopia comportavano.
Nello stesso periodo l’altro esploratore italiano Pellegrino Matteucci appena tornato da una spedizione sul
Nilo Azzurro an-Nil al-Āzraq assieme a Romolo Gessi, partì da Massaua nel febbraio del 1879 per gli altipiani continuando per Adua e l’antica città di Axum, a maggio giunse a Debre Tabor per chiedere il permesso al Negus Yohannes di continuare nella regione dello Scioa che gli fu negato e rimpatriò, lasciando a Gustavo Bianchi il compito di riorganizzare la spedizione nello Scioa l’anno dopo.
Gustavo Bianchi raggiunse rapidamente il territorio dei Galla Oromo esplorato a lungo dal vescovo Guglielmo Massaia e liberò Antonio Cecchi prigioniero della regina Ghene Fa’, ma non riuscì a portare a termine la missione nello Scioà per trovare vie di penetrazione commerciale in quella regione. Nel 1882 fu di nuovo inviato in Etiopia per fondare un centro commerciale nella regione del Goggiam a Baso e trovare le vie per collegarlo al territorio dei Galla e alla costa per la Baia di Assab attraverso la Dancalia, popolata da tribù ostili che l’anno prima avevano massacrato un’analoga spedizione di Giuseppe Giulietti e la stessa sorte toccò a Gustavo Bianchi nell’ ottobre del 1884 in Dancalia, trucidato con i suoi uomini dagli Afar. La bellicosa ostilità di quelle popolazioni ha sempre reso molto difficile l’ esplorazione dell’ arida Dancalia e il Triangolo Afar, posso assicurare che viaggiare in quella regione è ancora problematico soprattutto se si incontrano certi gruppi nomadi Afar e predoni.
Nel 1884 l’ avventuriero piemontese Augusto Franzoj volle ripetere l’impresa di Giovanni Chiarini e Antonio Cecchi, attraversò da solo il Sudan sconvolto dal traffico negriero e la rivolta mahdiyya con la sua guerra islamica fino agli altipiani etiopici, avventurandosi nel territorio del Gher. Tornato in Italia pubblicò il racconto delle sue avventure Aure Africane, ammirato dal vate della letteratura italiana Carducci.
Dopo le due spedizioni di Gian Piero Porro e Gustavo Bianchi per trovare vie commerciali nell’interno dell’
Etiopia finite tragicamente, nel 1887 fu inviato l’ingegnere Augusto Salimbeni assieme al conte Tancredi Savoiroux e l’ ufficiale Federico Piano con il figlio di undici anni, per fondare una base commerciale e costruire un ponte sul Nilo Azzurro. Accusati di spionaggio dal ras Alula , vennero imprigionati e liberati dopo lunghe trattative solo dopo la sconfitta delle truppe italiane a Dogali, intanto l’ etiopica Abissinia era diventato un territorio da conquistare e non solo da esplorare.
Mentre continuavano i viaggi degli inviati della Società Geografica Italiana, la compagnia di navigazione dell’ armatore Rubattino aveva esteso la sua base fondata nella baia di Assab che aveva acquistato e che divenne il centro per la penetrazione coloniale italiana nell’ antico regno del Leone di Giuda, dopo la fatidica Conferenza di Berlino del 1884 con il quale l’Europa completò il colonialismo spartendosi l’ Africa, l’ Italia occupò il porto di Massaua e il litorale per attaccare l’ Eritrea e avere il suo “posto al sole”.
Con la guerra d’ Abissinia e le sanguinose sconfitte degli italiani a Dogali , la disfatta ad Amba Alagi e la disastrosa battaglia di Adua, le esplorazioni furono interrotte e vennero organizzate alcune spedizioni in Somalia, nel 1890 venne inviato Enrico Baudi di Vesme nei i territori dell’interno fino alle montagne del Bur Dap. L’anno dopo partì da Berbera assieme a Giuseppe Candeo attraversando l’ Ogaden e la regione dello Uebi Scebeli fino ai territori etiopici di Imi e Harar es Segir, stipulando accordi con le tribù nilocamite Hauin ,Rer Amaden, Dulbohanta e Ugasc Skoshen per farle entrare nel protettorato italiano, suscitando poi le ire delle truppe di Menelik II che li imprigionarono ad Harar, dove furono liberati dopo lunghe trattative.
Nel 1887 l’ ungherese Samuel Teleki guidò una lunga spedizione attraverso il territorio dei Kikuyu delle higlands e i Maasai delle savane keniote, effettuò un’ascensione al Kilimanjaro assieme al connazionale Hohnel ed esplorò la regione del lago Baringo, poi seguì l’ alto corso dell’ Uuazo Niyro continuando nel territorio delle tribù Turkana e raggiunse un grande lago chiamato dagli indigeni “Lago Nero” Basso Narok che battezzò Rodolfo in onore dell’ arciduca d’Austria. Proseguì ad est e scoprì un’altro lago chiamato “Lago Bianco” Basso na Ebor dai locali e Chew Bahir in aramaico a cui dette nome Stefania continuando poi verso la costa dove terminò la spedizione dopo aver scoperto la regione dei laghi e paludi dell’ Etiopia meridionale dal misterioso sitema idrografico che attirò l’attenzione della Società Geografica Italiana.
L’ esperto Luigi Robecchi Bricchetti, che l’anno prima aveva compiuto una spedizione attraverso l’ Ogaden per gli altipiani etiopici, fu inviato nel 1890 a Mogadiscio per attraversare la regione dello Wadi Nugaal da dove proseguì in quella di Alula e nello Uebi Scebeli fino a Berbera sulla costa, compiendo per la prima volta il completo itinerario del Corno d’ Africa somalo. Seguì la spedizione del principe esploratore Eugenio Ruspoli l’ anno dopo attraverso l’ Ogaden per esplorarNe i territori del Fat e di Sciaveli e risalire il corso dell’Uebi Scebeli , dove incontrarono tribù ostili che li costrinsero a tornare sulla costa.
Da Berbera Ruspoli ripartì nell’ interno stipulando accordi con alcune tribù per farle entrare nel protettorato italiano, spingendosi nella regione etiopica del lago Stefania scoperto da Teleky e nei territori delle tribù nilocamite Hammer e Borana, ma terminò tragicamente la sua spedizione raccontata da Carlo Riva nel Bollettino della Società Geografica Italiana.
La regione attirò l’esploratore americano Donaldson Smith che organizzò una spedizione con due britannici partendo da Berbera nel luglio del 1894 per risalire la valle dello Uebi Scebeli e raggiungere il lago Abaya. Proseguì attorno al lago Stefania Bahir Chew ed arrivò sul Rodolfo noto come lago Turkana dalle tribù dei Turkana che ne popolano il territorio, vi trovò un fiume che essi chiamavano Niam Niam, credendo fosse un ramo del misterioso Omo, lo risalì scoprendo che non era collegato a quel fiume che entrava nel Rodolfo attraverso territori sconosciuti, uno degli ultimi misteri geografici dell’Africa orientale di li a poco poi svelato da Vittorio Bottego.
Estratto da: ©Paolo del Papa Viaggiatori ed esploratori. Vol. Africa: Esploratori italiani©
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