Per le esplorazioni africane venne fondata l’autorevole Africa Association che nel 1830 divenne la celebre Royal Geographical Society, protagonista delle grandi esplorazioni britanniche che portarono a svelare il millenario segreto delle sorgenti del Nilo custodito nelle profondità inesplorate del Continente Nero,ma altri esploratori meno noti di quelli inviati poi dalla prestigiosa società britannica nel frattempo affrontarono l’impresa.
Rollet e De Bono
Il centro di Khartum all’epoca cominciò ad accogliere una piccola colonia di mercanti, missionari ed esploratori italiani che s’avventurarono nel Sudan meridionale e nel 1841 il suddito dei Savoia Brun Rollet partì da Risalì il Nilo Bianco Bahr el- Abiad fino alle immense ed impenetrabili paludi del Bahr al-Ghazal, e la selvaggia regione del Sudd, raggiungendone i limiti inesplorati dove inizia la zona dei Grandi Laghi.
Le note del suo diario attirarono l’attenzione di Giovanni Miani, esploratore e avventuriero, difensore della Repubblica Romana e della rivolta contro gli austriaci a Venezia. Si trasferì in Egitto dedicandosi all’antica civiltà e gli studi di egittologia nell’istituto copto di Alessandria. Come altri si appassionò a quella culla millenaria di civiltà e ai suoi misteri e redasse un Nouvelle carte du bassin du Nil, le cui sorgenti ancora si perdevano nella leggenda e che si propose di scoprire con un dettagliato progetto che presentò alla Sociètè Geographique Française nel 1857.
Due anni dopo organizzò una spedizione aiutato dal connazionale Andrea De Bono e seguì la via di Brun Rollet risalendo il Nilo Bianco fino a Gondokoro, oltre le terribili e malsane paludi del Bahr al-Ghazal, temerario e aggressivo superò varie avventure proseguendo in territori inesplorati fino allo sperduto villaggio di Galuffi nella regione di Nimula, sul tratto iniziale del Nilo che scorre dal lago Alberto, dove giunse nel marzo del 1860, ma stanco ed ammalato si fermò e incise il suo nome su un albero di tamarindo a una sessantina di chilometri dalle leggendarie Montagne della Luna, trovato poi da Speke nella sua spedizione con Burton alla ricerca delle sorgenti del Nilo.
Giovanni Miani
Giovanni Miani fu il primo a capire che le impenetrabili ed immense paludi del Sudd erano un grande ostacolo per le esplorazioni verso le leggendarie sorgenti del Nilo e che, anzichè seguirne il corso, la via migliore doveva partire dalle coste dell’ Africa orientale per attraversare le savane tanzaniane e giungere alla regione dei Grandi Laghi, tra i quali uno doveva originare il fiume come affermava Tolomeo. La via intuita da Giovanni Miani fu poi percorsa da Burton con il compagno Speke e l’altro britannico Augustus Grant nelle loro celebri esplorazioni quando egli si era ritirato a Khartum come direttore dello zoo, ma nel 1871 a sessanta anni sentì il richiamo dell’avventura e partì per il Bahr el-Ghazal seguendo una carovana, esplorò l’ ignoto corso del fiume Assua che esce dal Nilo Bianco e quello dello Uele, penetrando nel territorio delle tribù Bakango, Monbutto e dei temuti Zande Niam Niam che esplorò per sette mesi, ma fu stroncato dalle febbri nel 1872 e inumato in una località sperduta poi ritrovata dal compatriota Romolo Gessi durante le sue epiche spedizioni nella regione.
Carlo Piaggia
Due anni prima della spedizione di Burton e il compagno Speke, nel 1856 Carlo Piaggia partì da Khartum lungo il Nilo Bianco e superò le immense paludi malsane del Sudd raggiungendo le sperdute missioni di Gondokoro e Rejaf, annotando scrupolosamente gli ambienti e i costumi delle popolazioni nilocamite della regione Nuer Nath, Shilluk Chollo e Dinka incontrate, biasimando l’attività dei negrieri nella quale erano impegnati anche alcuni europei di sua conoscenza. I centri di raccolta zeribe erano collegate tra loro da piste percorse quotidianamente da carovane di schiavi spinti a frustate verso la costa o per essere imbarcati sulle chiatte per risalire il Nilo, un traffico infame che raggiunse proporzioni spaventose e stroncato anni dopo dal compatriota Romolo Gessi nella più temeraria e nobile impresa delle esplorazioni africane.
Tornò a Gondokoro ed esplorò la regione nilotica del Bhar el Siraf fino al luglio del 1857, per quasi due anni si mise al servizio del trafficante d’ avorio e di schiavi francese Alphonse De Malzac cacciando elefanti dalle zeribe di Gaba Shantil e di Rumbek sull’affluente nilotico Rohl. Tornato in Italia conobbe il marchese Orazio Antinori, poi tra i fondatori della Società geografica Italiana, che aveva viaggiato a lungo in Medio Oriente e partecipato ad una spedizione sul Nilo azzurro Baḥr al-Azraq esplorando l’ affluente Rahàt, lo seguì in una spedizione sul Bahr al-Ghazal nel 1860, ma stanchi e senza provviste ritornarono a Khartum e Orazio Antinori rimpatriò, mentre Carlo Piaggia ripartì per il bacino meridionale nilotico tra il Sudd e il lago No.
Tre anni dopo Carlo Piaggia seguì una carovana del trafficante etiopico Gatthos e continuò le sue esplorazioni avventurandosi nel temuto territorio della misteriosa popolazione degli Zande Niam Niam, riuscì ad entrare in contatto con coloro che erano da tutti ritenuti feroci cannibali e vi trascorse un lungo periodo completando un’impresa ritenuta impossibile nelle esplorazioni del Nilo e che descrisse nelle sue Memorie. Nel 1871 partecipò ad una spedizione nella regione nilotica di Bogos ancora con Orazio Antinori, dopo due anni partecipò ad una spedizione in Etiopia con il francese Raffray esplorando il lago Tana e le sue isole e quattro anni dopo fu con Romolo Gessi, impegnato nella sua tenace guerra contro i negrieri, in una spedizione nei Grandi Laghi esplorando il Sobat affluente del Nilo Bianco an-Nīl al-Ābyad e il lago Kyoga.
In seguito Romolo Gessi lo incaricò di organizzare le carovane sulle piste del Kordofan, ma fu ostacolato dalla rivolta dei negrieri di Sualamayn Bey che si estese in tutta la regione del Bahr el-Ghazal, poi sconfitta dal compatriota. Da Khartum risalì il Nilo Azzurro an -Nīl al-Azraq fino ai confini etiopici, ma la guerra con i negrieri gli impedì di proseguire e rimase quasi un anno con una tribù Bertat esplorandone la regione per le sue rilevazioni ed annotazioni scientifiche. Nel frattempo una spedizione degli inviati della Società Geografica Italiana Antonio Cecchi e Giovanni Chiarini risultava dispersa in Etiopia e nel 1880 Piaggia fu incaricato di cercarla, ma non riuscì a proseguire oltre il territorio dei nilocamiti Beni Shangol, pubblicò le sue relazioni sulla rivista della Società Geografica Italiana, meno nota ma altrettanto impegnata nella divulgazione delle esplorazioni africane della britannica Royal Geographical Society.
Nel dicembre del 1881 partì per la sua ultima spedizione verso il fiume Sobat con l’olandese Schuver, ma il diciassette gennaio la forte fibra di Carlo Piaggia fu stroncata da una banale e devastante dissenteria e venne seppellito nel villaggio di Karkoggi, tra quella gente che aveva imparato a conoscere ed amare e che aveva descritto con rispetto.
Gaetano Casati
Come altri anche Gaetano Casati era figlio del Risorgimento italiano, dopo il congedo da ufficiale dei bersaglieri fu redattore nel periodico L’ esploratore diretto dal geografo Manfredo Camperio che aveva ricevuto una richiesta da Romolo Gessi per un esperto geografo nella regione di Equatoria che governava e Casati nel 1880 raggiunse Khartoum ospitato nella missione fondata da Daniele Comboni. L’ incontro con il grande esploratore avvenne mentre Gessi tornava malato a Khartoum dove poco dopo l’eroico flagello degli schiavisti mise fine ai suoi giorni, poi Casati s’avventurò a sud trovando il sepolcro sperduto di Giovanni Miani, nel territorio degli Azande Mabisanga venne imprigionato dal locale sovrano assieme al russo Vasilij Vasil’evič Junker.
Liberato tornò al centro di Tangasi ove incontrò il tedesco Eduard Schnitzer che era divenuto governatore di Equatoria come Emin Pasha, nel frattempo cominciava ad infuriare la rivolta mahdiyya con la sua guerra islamica che aveva consumato l’assedio di Khartum con il massacro della guarnigione e l’ uccisione del generale Charles George Gordon da parte del fanatico esercito del mahadi Muhammar Ahmad nel 1885.
La sanguinaria guerra scatenata dal jihad rese impossibile l’ eplorazione dei territori meridionali e di uscirne verso la costa e Casati rimase in Uganda prigioniero nel regno di Bunyoro. Nel frattempo era stata inviata una spedizione guidata da Stanley in soccorso al governatore Emin Pasha mentre il nostro era riuscito a fuggire nel 1888 raggiungendo avventurosamente a piedi da solo il lago Alberto dove fu recuperato dall’ imbarcazione dello stesso Schnitzer Emin Pasha, ma tutte le annotazioni dei suoi otto anni di esplorazioni e preziosi rilevamenti erano andati perduti.
Emin Pasha e Gaetano Casati incontrarono poi il disastrato gruppo guidato Stanley e furono loro a prestargli soccorso come ci racconta l’ avventuriero anglo americano nel suo In Darkest Africa, si misero poi in cammino per lasciare la devastata Equatoria percorrendo milleseicento chilometri fino a Bagamoyo sulla costa tanzaniana perdendo la metà dei millecinquecento uomini della spedizione giungendo a dicembre del 1889. Gaetano Casati tornò in Italia l’ anno successivo e l’ amico Emin malridotto da un incIdente e malattie fu ucciso da negrieri arabi in Congo tre anni più tardi.
Missionari ed esploratori
Nel 1842 a Khartum giunsero i primi missionari italiani inviati dal pontefice Gregorio XVI e si spinsero nei territori sconosciuti inaugurando l’epopea delle “esplorazioni evangeliche” italiane in Africa orientale, Serao e Montuori si avventurarono tra le tribù dei Dinka e gli Shilluk delle quali appresero le lingue e ne fecero un dizionario, ostacolati dai negrieri che vi stendevano il loro sinistro dominio razziando villaggi e organizzando allucinanti carovane di schiavi verso la costa o lungo il Nilo. Nel 1849 Angelo Vinco con l’ altro missionario sloveno italianizzato Ignazio Knoblecher giunse a Khartum e iniziò subito la sua opera sul Nilo Bianco tra le tribù nilocamite del Sudd delle quali tradusse la lingua bari, tracciò una via per le successive penetrazioni dei confratelli e continuò penetrando i territori più meridionali descrivendoli nei suoi diari.
Egli non era un geografo e non poteva effettuare rilevamenti ,ma aveva appreso lingue e costumi tribali che gli permisero di relazionare sui popoli nilocamiti incontrati e sulle zone che attraversava sempre più a sud, fino alle popolazioni dei Cioco di Nimule tra il Sudan meridionale e l’Uganda e dei Quenda del lago Alberto, da essi seppe che a quattro giorni di marcia si ergevano i monti che chiamavano Combirat da dove nasceva il Grande Fiume Bianco, ma non riuscì a raggiungerli esausto dalle febbri e con la stagione delle piogge che iniziava.
Nel 1854 l’altro missionario Giovanni Beltrame risalì il Nilo Azzurro penetrando nei territori delle tribù nilocamite Beni Shangol, Kassan, Singé e Fardassi, che osservò e descrisse per la prima volta, quattro anni dopo era oltre il Bahar el-Ghazal esplorando il Nilo Bianco fino a Gondokoro tra i Nuer, i villaggi dei Dinka e le trbù Shilluk , certo che ogni tentativo di evangelizzazione poteva essere iniziato solo con la conoscenza e il rispetto di tradizioni e costumi di quelle popolazioni.
Il grande organizzatore di questa nuova concezione missionaria in Africa fu il missionario ed esploratore Daniele Comboni che dal 1857 per tre anni aveva esplorato il Nilo Azzurro e il massiccio del Golfan tracciando la mappa del Dar Nuba e studiando la lingua Dinka, a Verona fondò l’ ordine delle suore missionarie e l’ istituto Nigrizia con il museo africano e la rivista degli Annali del Buon Pastore che pubblicava le relazioni dei missionari e delle esplorazioni africane, divenuta editore dell’ impegnata pubblicazione Nigrizia. Nel 1872 era di nuovo a Khartum per organizzare le esplorazioni missionarie nel Sudan meridionale e Stanislao Carcereri effettuò spedizioni nel Kardofan e nel territorio dei Nuba, dove fondò una missione mentre faceva rilevamenti geografici e studi sulle popolazioni, redigendo la prima carta del Kordofan e dei monti chiamati Nuba.
Tra i missionari ed esploratori italiani di quel periodo vi erano anche avventurieri come certo Dandolo, che aveva viaggiato nei deserti di Nubia tra le rovine dell’antica civiltà Kushita, poi da Khartum risalì il Nilo Bianco an-Nil al-Ābyad nel Sudan meridionale su una pista che partiva da un piccolo centro carovaniero noto come l’ Albero di Mohammed e visitò la regione sconvolta dalle razzie negriere fino al Bhar el-Ghazal, ma nel suo diario era più interessato a descrivere le sue esperienze di viaggiatore, tra le quali estatiche fumate di hashish, che note geografiche, anch’egli comunque protagonista di quel periodo nel quale gli italiani erano gli unici europei che si muovevano in quei territori ignoti.
Essi contribuirono allo sviluppo del piccolo villaggio Proboscide d’Elefante Khartum, una piccola comunità che si occupava di anime da evangelizzare, commercio, edilizia, traffici vari e l’ esplorazione degli immensi territori che si stendevano dal Sudan nel bacino occidentale sulla Via del Nilo.
L’esplorazione dell’immensa regione tra il Sudan meridionale e i Grandi Laghi ebbe come protagonisti molti altri italiani tra i quali Gaetano Casati, Gustavo Bianchi, Giovanni Chiarini, Antonio Cecchi, Luigi Robecchi Bricchetti, Paolo Magretti e Guglielmo Godio visitarono le regioni di Taka, Ghedareff e Galabat, Andrea Fraccaroli nel 1880 il Darfur e il vicino Kordofan. Pellegrino Matteucci fu compagno di Romolo Gessi come Il comandante Giacomo Messedaglia che partecipò alle sue campagne contro i negrieri ed esplorò il Darfur di cui fu nominato governatore, ma su tutti emerse la figura del leggendario esploratore e acerrimo nemico dello schiavismo, il Garibaldi d’Africa Romolo Gessi.
Estratto da: Paolo del Papa Viaggiatori ed esploratori. Vol. Africa:Esploratori italiani. ©
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