Viaggiando nel millenario Egitto seguendo gli itinerari dei primi avventurosi fondatori dell’ egittologia
L’idraulico avventuriero
Dopo le guerre napoleoniche e la vittoriosa occupazione britannica dell’ Egitto ottomanod ominato dai decadenti bey Mamelucchi, al potere salì Mehmet Ali che divenne khedivè e riuscì a respingere due attacchi degli inglesi e a liberarsi dei quattrocentottanta bey invitandoli ad un grande banchetto che nessuno terminò vivo.
Al potente Mehmet Ali si rivolse un italiano dalla figura imponente e la barba da profeta per proporgli un macchinario idraulico da irrigazione di sua invenzione e il padovano Giovan Battista Belzoni organizzò la sua officina negli splendidi giardini nilotici di Shubra al-Khaymah. Il trentasettenne italiano era un singolare personaggio che, lasciata la natia Padova da ragazzo, aveva girovagato per l’ Europa apprendendo la scienza dell’idraulica in Olanda, cominciò ad inventare strani macchinari per giochi d’acqua da esibire nelle piazze e in Inghilterra sbarcava il lunario sollevando pesi e rompendo catene come “forzuto” ambulante, si sposò e tentò la fortuna di inventore in Egitto.
Visitando il sito della maestosa Gizah incontrò lo studioso di antiche civiltà Jhoann Ludwig Burckhardt e rimase incantato dalle storie di viaggi ed esplorazioni sul Nilo dello svizzero, convincendosi che poteva essere una buona attività cercare tesori tra gli antichi siti faraonici, resi celebri in Europa dal francese Vivant Denon che seguì la campagna napoleonica disegnando le rovine che emergevano dal deserto lungo il fiume che fu culla della civiltà.
In seguito il nuovo regnante dell’ Eyalet egiziano ottomano Ibrahim Pasha aprì il paese a collezionisti ed antiquari europei che accesero la passione per gli oggetti custoditi negli antichi sepolcri dell’Egitto millenario, mentre Jean François Champollion tentava di decifrarne i misteriosi geroglifici, poi svelati nel suo Prècis du système hiéroglyphique des anciens Égyptiens pubblicato nel 1824 ed altre opere che avrebbe portato un nuovo ed affascinante capitolo dell’egittologia.
Intanto il buon Giovan Battista Belzoni lavorava ai suoi marchingegni che non convinsero il Khedivè e trovò altro impiego presso il console britannico ed egittologo Henry Salt raccomandato da Jhoann Ludwig Burckhardt che lo incaricò di trasportare a Cairo la testa colossale di una statua rinvenuta a Gurnah vicino l’antica Tebe ,che poi si scoprì essere quella del Giovane Memnone quando fu portata al British Museum ove ancora si ammira.
Indomabile Belzoni
All’epoca due potenti collezionisti avevano il monopolio sulle scoperte e i traffici dell’immenso patrimonio faraonico. Uno era lo spregiudicato direttore del Louvre parigino Louis de Forbin, abile impostore ed usurpatore delle altrui scoperte, l’altro Bernardino Drovetti, che lasciò il consolato framcese al Cairo per dedicarsi alla remunerativa attività che poi creò il grande museo egizio torinese, gran corruttore di funzionari per impedire a chicchessia di scavare lungo la Valle del Nilo e competere con il suo manipolo di cercatori che all’occorrenza si trasormavano in sabotatori e aggressori dei concorrenti.
Giovanni Battista Belzoni non aveva l’erudizione né l’organizzazione dei concorrenti, era solo un avventuriero affascinato da quell’ Egitto millenario riuscì ad ottenere dal khedivè i permessi e l’appoggio dei funzionari bey locali per eseguire il suo mandato a Tebe dove incontrò Bernardino Drovetti che, notevolmente infastidito dall’intruso, gli promise un pesante sarcofago di una delle tombe che aveva rinvenuto a Gurnah se fosse stato in grado di trasportarlo e il vigoroso italiano si ripromise di farlo a tempo debito. Intanto si mise subito all’opera per rimuovere le dodici tonnellate di granito della testa colossale adoperando l’antico sistema egizio di trasporto con funi, leve e rulli tirati da braccianti fellahin, riuscendo ad estrarla dal sito e iniziarne il lento trasporto verso il Cairo.
In pieno periodo di Ramadan i suoi manovali musulmani dovevano rispettarne la regola del digiuno quotidiano che ne scemava le forze, ma riuscì a proseguire tra gli stenti fino a quando il bey di Kurna , ove sorgeva la necropoli di Gurna, corrotto da un antiquario, revocò il permesso e gli uomini lasciarono Giovan Battista Belzoni in una zona minacciata da una piena. Il sanguigno padovano non era tipo da lasciarsi intimorire da chicchessia e andò a reclamare i suoi diritti dal bey, che a stento gli tolsero malridotto dalle possenti mani, così salvò il suo gigantesco reperto e attese di imbarcarlo.
Nel frattempo andò a prendersi il sarcofago che Bernardino Drovetti gli aveva promesso sperando che si fosse perso per disfarsi del rivale, le guide seguirono tortuosi itinerari per non fargli riconoscere la via da seguire e si infilarono nel labirinto di un sepolcro a mastaba, ma colui che conosceva il tragitto cadde in un pozzo e mentre l’altro si disperava il gigante delle piramidi Giovan Battista Belzoni provò tutti i cunicoli finché trovò l’uscita .
Da Alessandria Drovetti ricorse ad altri mezzi e fece corrompere il bey affinché nessun manovale lavorasse per l’italiano che, in attesa di trovare una soluzione per il trasporto, navigò sul Nilo fino alla seconda cateratta e l’ isola nota come Philae, dove dei grandi templi poi scavati a File vide parti di teste colossali che emergevano dalla sabbia, che poi si rivelarono essere le enormi statue del tempio di Iside che nessuno immaginava, rinvenne grandi pietre scolpite che lasciò ripromettendosi di riprenderle quando sarebbe tornato a liberarle.
Dopo una visita a Tebe, decise una sua personale esplorazione nella Valle dei Re, ma i sabotaggi di Drovetti continuavano e indusse anche il comandante della nave che doveva finalmente caricare il reperto a desistere, però fece irritare il bey con l’omaggio di un carico di aringhe anzichè le consuete e più nobili tangenti e questi decise di aiutare Giovanni Battista Belzoni convincendo il capitano della nave ad accettare la testa colossale.
Il successo convinse Mehmet Alì che l’italiano era uomo tenace e di valore al quale concedere permessi ed appoggi per sondare i misteri delle rovine dell’Alto Egitto, così tornò a File e trovò le pietre che aveva rinvenute distrutte con un’ irrisorio messaggio in francese, opera dei due collaboratori di Drovetti ai quali aveva parlato dei suoi sopralluoghi. Irritato dalla stupida malvagità di coloro che finalmente capì essere i suoi avversari, si mise subito al lavoro scavando da solo la facciata del grande tempio consacrato ad Isidein cui penetrò scoprendo un fantastico sacrario scavato nella roccia che da millenni nascondeva enormi stanze sostenute da colonne scolpite, pareti dipinte e decorate da bassorilievi, un’opera grandiosa che con la sua intuizione aveva rivelato al mondo.
Nella Valle dei Re
Organizzò una nuova spedizione nell’ottobre del 1817 per esplorare quella che gli arabi chiamavano Beban-el-Muluk, la leggendaria Valle dei Re dove nell’ antichità furono rinvenuti grandi sepolcri descritti da greci e romani, lo storico Erodoto e il geografo Strabone, poi mai più esplorata perchè nessuno pensava potesse esservi altro che valeva scoprire.
All’ epoca il sapere era molto legato ai testi antichi, come Troia che venne scoperta Heinrich Schliemann
seguendo i testi dell’ omerica Iliade , così come altre ricerche archeologiche si affidavano agli scritti classici, ma il nerboruto italiano era molto più empirico e nella sua praticità seguiva l’intuizione che gli veniva solo da ciò che poteva verificare direttamente, così cominciò a cercare tra le rocce invase dalla sabbia quelle che potevano sembrare antica opera dell’uomo.
Scavò varie tombe liberandole dalle masse di pietre, terra e sabbia accumulate dai millenni, nel letto di un torrente periodico ouadi alimentato dalle piogge individò un ingresso che scavò penetrando in un labirinto sotterraneo di gallerie e stanze decorate che portavano alla stanza funeraria dove trovò il grande sarcofago vuoto. In quell’ alba dell’ egittologia veri esperti ancora non si erano formati e il genuino Giovan Battista Belzoni era lungi dall’esserlo e interpretò uno dei geroglifici con quello del faraone Psammetico I, poi quando Jean-François Champollion rese la scrittura geroglifica egizi afinalmente svelata e si scoprì che si trattava di Sethi I, qui sepolto nella sua tomba, che generò il grande Ramses II anch’ egli trovato nel sepolcro reale.
La dimenticata Valle dei Re era dunque una necropoli, prezioso scrigno d’ arte antica egizia ben più vasta ed importante di quanto si era pensato e vi dovevano essere sepolti i faraoni delle più grandi dinastie, come quello scoperto da Belzoni lungo centro metri e ricco di decorazioni che era il più grande mai trovato.
Il mistero della mummia scomparsa fu svelato solo nel 1877 con la scoperta del grande mausoleo di Deir el-Bahari ove s’ erge il grande Tempio funerario della regina Hatshepsut e il vicino mausoleo di Mentuhotep II all’ epoca ancora nascosti dall’altra parte della Valle dei Re, dove furono portati molti sarcofaghi per nasconderli in una grande fossa comune ai ladri di tombe che cominciarono ad imperversare fin da epoche contemporanee ai faraoni.
La grande scoperta non fu onorata come si aspettava, deluso e con poche finanze vendette le statue rinvenute al trafficante Louis de Forbin, nel frattempo diventato direttore del museo Louvre, al quale incautamente fornì la relazione delle sue scoperte da pubblicare e riceverne l’onore che si meritava, ma fu usata dal francese per aggiudicarsele indegnamente.
Il gigante delle Piramidi
Giovan Battista Belzoni si occupò di un’altro mistero a due passi dalla capitale sulla piana ove si stende la necropoli di Giza dominata dalle piramidi di Micerino Mykerinos, Chefren e la più grande Cheope del faraone Khufu descritte da Erodoto , il sapiente Manetone egiziano, Diodoro Siculo, Strabone di Amasea e Plinio il Vecchio. All’epoca le piramidi costituivano il principale problema della nascente egittologia che ancora non ne aveva compresa la funzione, solo quella di Cheope era stata visitata dagli studiosi arrivando fino al sepolcro sotterraneo, ma nessuno seppe interpretare il motivo di queste enormi costruzioni uniche al mondo, cercando le vie per entrare nelle altre due.
Anche qui adottò il suo metodo “intuitivo” esaminando attentamente ogni lato della piramide di Chefren e su quello settentrionale notò che il rivestimento in disgregazione in un punto centrale era più cedevole che altrove per uno spazio che corrispondeva all’ estensione del portale simile a quello scoperto nella piramide di Cheope. Con il poco denaro di cui disponeva prese alcuni manovali e si accampò davanti a quella che ritenne sicuramente la porta di Chefren, ma in una ventina di giorni di scavi si accorse che si trattava del titanico tentativo di antichi saccheggiatori per aprire un varco verso l’interno scavando invano cuniculi nella pietra e il cui accesso fu richiuso.
“Stetti considerando questo masso enorme il quale da tanti secoli fu causa di innumerevoli congetture di ogni genere, tanto più ancora in quanto che li sacerdoti egiziani avevano assicurato Erodoto, falsamente siccome vedrassi, che questa piramide non capiva alcuna camera….Ero tormentato da questa idea”
La delusione non gli fece abbandonare l’impresa e studiò nuovamente la via per l’ ingresso nella piramide che era spostato a lato della facciata anzichè al centro e ne calcolò l’eventuale ubicazione dove trovò un altro cedimento del rivestimento e qui riprese a scavare, in un mese trovò l’ ingresso penetrando per quindici metri nel sottosuolo dove si aprivano due corridoi e un pozzo, arrivando al sepolcro.
Vi trovò la camera funebre in gran disordine con scritte arabe che affermavano l’apertura della piramide ad opera di un proprietario di cave di nome Mohammed Ahmed, era il due marzo 1818 e Belzoni annotò la data e il suo nome su una parete, per mostrare il suo successo a Louis de Forbin che lo aveva irriso disegnò la pianta interna della piramide e gliela fece avere. Poco dopo sui giornali francesi apparve la notizia che il direttore del Louvre aveva scoperto la tomba del faraone Sethi I a Biban el-Mulūk nella Valle dei Re e penetrato l’inviolata piramide di Chefren nella piana di Giza, facendo sue la relazione delle scoperte incautamente fornite da Belzoni.
Non soddisfatto dell’ inganno si dice che perseguitò l’italiano in tutti i modi arrivando a farlo aggredire da una feccia di arabi armati guidati da due francesi mentre stava scavando a Karnak e non riuscirono ad ucciderlo a fucilate per l’arrivo di testimoni. Dopo una spedizione all’oasi El Fayyum e al vicino lago Qarun
ove, nei pressi di Hawara si è poi scoperto il Labirinto di Meride e la piramide nera di Amenemhat III, il primo grande scopritore di siti lungo il Nilo decise di lasciare l’ Egitto.
L’ ultima avventura
Ostacolato dai funzionari corrotti, sabotato e perseguitato dai trafficanti antiquari e dal direttore del Louvre che aveva usurpato le sue scoperte, il gigante delle piramidi Giovan Battista Belzoni non era tipo da vita sedentaria, lasciati i miti della nascente egittologia che tanto aveva contribuito a svelare, si interessò ad un altro grande mistero africano dell’epoca che attendeva lungo le rive del Niger.
Nel 1823 l’italiano arrivò a in Marocco assieme alla moglie che lasciò a Fès per organizzare la sua spedizione solitaria partendo dal Ghana, attraversò il vecchio regno nero del Benin e si inoltrò nelle savane del nord verso il Mali per raggiungere il Niger il cui corso rimaneva uno dei grandi misteri geografici dell’epoca che nel 1805 aveva tentato di svelare l’esploratore scozzese Mungo Park lasciandovi la vita.
Belzoni cominciò da solo la traversata di territori inospitali e malsan, con il suo fisico imponente e la forza con cui era stato capace di scavare, sollevare statue e pietre, resistere a clima e fatiche che avrebbero stroncato chiunque, ma non riuscì ad arrivare a destinazione ucciso da una banale e violentissima dissenteria a quarantacinque anni e fu sepolto sulla costa a Gato dalla piccola guarnigione inglese.
Forse senza la grande intuizione di un uomo con il suo vigore, nell’isolamento e gli ostacoli di meschini personaggi, il fantastico mondo del millenario Egitto avrebbe tardato ad emergere dalle nebbie della storia, ma con la grandiosa umiltà della conoscenza il Gigante delle Piramidi cercò i suoi onori solitari inseguendo altri miti in Africa dove Giovan Battista Belzoni riposa lontano dai suoi sepolcri.
©Paolo del Papa Viaggiatori ed esploratori. Vol. Africa :Le Meraviglie d’Egitto.Belzoni.
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