Giava si stende per un migliaio di chilometri ad est di Sumatra oltre lo stretto della Sonda, dove emergono alcuni picchi vulcanici tra i quali il Krakatau, protagonista di una delle più terrificanti eruzioni della storia nel 1883 che devastò lo stretto, sterminò la popolazione e oscurò il cielo per mesi, scagliando massi a centinaia di chilometri. Esso fa parte del centinaio di vulcani, in gran parte attivi o latenti, che dominano le montagne giavanesi da ovest ad est coperti da fitta vegetazione e separati da profonde valli, dove da millenni gli abitanti hanno strappato alla foresta le loro piantagioni, concentrandosi nella lunga pianura alluvionale del nord stendendo per secoli le ordinate risaie con terrazzamenti sui rilievi che la limitano, modellando mirabilmente il paesaggio. Piccoli villaggi tra immense piantagioni e risaie che si allungano fino alla costa, dove fin dall’ antichità sorsero città di mercanti e navigatori con i loro porti incrociati dalla leggendaria Via delle Spezie e che ancora accolgono il traffico marittimo nei porti di Jakarta, Tjirebon, Semarang e Surabaya. Su quelle antiche rotte nel IV sec.d.C. si sviluppò la grande civiltà giavanese influenzata dai secolari rapporti con l’ India e gli abitanti ne adottarono l’ antichissima cultura, l’ organizzazione sociale e politica, le avanzate tecniche agricole e artigianali e la religione hindu, particolarmente il culto di Siva poi fu sostituito con il buddhismo . Il primo di questi stati giavanesi “indianizzati” fu il regno di Taruma che nel V secolo veniva ricordato nelle cronache indiane e cinesi come raffinato e progredito e il cui sovrano Purnavarman fece edificare città, templi e grandi opere, come un canale di quindici chilometri per trasportare merci e irrigare vaste zone strappate alla foresta tropicale., mentre nella vicina Sumatra nascevano i potenti regni Malayu e Shrivijaya.I regni hindu indonesiani fiorirono sviluppando enormemente la produzione agricola a Giava, con grandi opere di bonifica, disboscamenti e terrazzamenti che strapparono alle foreste le grandi piantagioni e risaie che modellano il suggestivo paesaggio dell’ isola, contrastando con l’ aprezza selvaggia delle catene montuose e i rilievi vulcanici. La ricchezza agricola interna favorì contemporaneamente il grande sviluppo del commercio marittimo e dai porti soprattutto di Sumatra i vascelli indonesiani incrociarono le principali rotte dell’ antica Via delle Spezie orientale tra l’ Oceano Indiano, il golfo del Bengala e il Mar Cinese Meridionale, da secoli frequentate da arabi, indiani e cinesi. Tra i vari regni “indianizzati” indonesiani emerse quello di Shrivijaya, che aveva il suo centro a Palembang a Sumatra, che le cronache cinesi del Vll secolo descrivono come florido e potente, grande centro culturale per la diffusione del buddhismo e che ben presto dominò un vasto territorio dalla Malesia all’ intera Giava fino alle remote isole a est di Bali, controllando le rotte importanti marittime del sud est asiatico che favorì scambi commerciali e culturali con l’ India, la Cina e la nascente civiltà araba islamizzata. L’ influenza su Giava governata dalla dinastia Shailendra si accentuò nel IX secolo con l’ introduzione del buddismo Mahàyàna e matrimoni dinastici tra le due rispettive famiglie regnanti che sancirono un’ alleanza tra Sumatra e Giava, ma nel 992 il sovrano di Giava orientale Dharmavangsa attaccò lo Shrivijaya che reagì invadendone il regno. Nel 1006 divenne gli succedette Airiangga che conquistò l’ intera isola e ritentò la conquista di Sumatra , ma alla sua morte nel 1049 il regno si disgregò in vari principati, tra i quali quelli di Kadiri e di langala, mentre fioriva la civiltà hindu di Bali. Nel 1222 il leggendario re Ken Angrok unificò Giava orientale, dove nacque il regno di Singlìásári che fiori nel XIII secolo con i grandi re Visnuvardhana e Kertanagara, che hanno lasciato grandi testimonianze nella cultura e l’ arte giavanese e balinese.
Jakarta
Dove gli olandesi nel XVII secolo fondarono la capitale della loro colonia indonesiana Batavia, esistevano dei villaggi ben organizzati, collegati da strade e canali, costruiti sotto il regno sundanese di Purana trecento anni prima, che avevano il loro centro a Bogor. Quando il regno Purana decadde e fu sostituito da quello Pajalaran, il centro fu spostato sulla costa alla foce del fiume Tji Li-wung e fiorì con il suo porto, la città crebbe e fu chiamata Forte e Gloriosa, in sanscrito Jakarta. Dopo la conquista olandese il governatore Coen. nel 1619 fece edificare la nuova città che, dal popolo dei Batavi, fu battezzata Batavia divenendo la sede della potente Compagnia delle Indie Orientali. e uno dei più importanti porti dell’ Asia orientale fino all’ inizio del XIX secolo, entrato poi in crisi con l’ apertura del canale di Suez e lo sviluppo di Singapore fondato da lord Raffles.Nel 1942 la colonia olandese e la sua capitale fu invasa dai giapponesi, alla loro sconfitta nel 1945 nella vecchia Batavia fu.proclamata l’ indipendenza, nel 1949 divenne capitale della Repubblica lndonesiana e l’anno dopo fu ribattezzata con l’ antico nome di Jakarta.Durante gli ultimi decenni della colonia furono edificati moderni quartieri commerciali e residenziali che,con i tanti canali che si intersecano collegati da ponti,dà alla città un aspetto che ricorda le città olandesi. Nella zona più moderna sorge il grande centro commerciale e industriale, le sedi delle grandi industrie che si sono sviluppate rapidamente nella metallurgia,. meccanica, chimica, tessile, alimentare, le più vecchie della gomma e dei cantieri navali, banche e società multinazionali per lo sfruttamento del legname e dei ricchissimi giacimenti petroliferi e minerari.Nei quartieri residenziali si sono moltiplicati i grandi magazzini e gli shopping center, tutto è occidentalizzato all’ estremo, anche le università statale e private, i centri culturali e i musei, tra i quali il vasto parco all’ aperto della Piccola Indonesia, che riproduce le abitazioni tradizionali di tutte le popolazioni dell’ immenso arcipelago, sicuramente una delle poche mete interessanti per una visita della capitale, assieme a qualche vecchio quartiere sopravvissuto.
I quartieri più vecchi nella zona sud est, che vanno scomparendo con l’ estendersi della caotica metropoli moderna, sono quelli cinese e arabo che conservano alcuni edifici colorati ed animati dai mercati di quartiere rionali, quelli indonesiani si presentano ormai come le tipiche hinterland delle grandi città asiatiche, poveri e sovrappopolati con tutti i gravi problemi sociali che comportano.Nella periferia più esterna, infine, i quartiri mantengono in parte le caratteristiche dei vecchi villaggi agricoli Kampong, ma anche essi minacciati dall’ incontenibile e caotica crescita della città e dal continuo arrivo di immigrati dalle zone più povere del Paese. Un traffico caotico di auto, bus, camion, i vecchi taxi dei poveri a pedali betja, , le carrozzelle a cavalli delman ormai in gran parte sostituite con quelle a motore sovraccariche di passeggeri in continuo movimento tra gli immensi quartieri vecchi e nuovi di una metropoli ormai invivibile che sembra aver completamente travolto il suo passato.Ne rimangono alcuni vecchi edifici coloniali del XVIII secolo, visitati rapidamente dai turisti in transito verso le ben più interessanti destinazioni di Giava, come il municipio e la residenza del governatore olandese, la chiesa portoghese , Il vecchio porto della Batavia olandese, sostituito per il grande traffico da quello moderno di Tanjung Priok, a una decina di chilometri a nord-est del centro urbano, cui è collegato da un canale, da una ferrovia e da un’autostrada.
La via dei vulcani
Dalla caotica capitale si raggiunge agevolmente la vicina Bogor.che possiede uno dei più ricchi parchi botanici del mondo, da dove si continua per immergersi nei suggestivi paesaggi risalendo i monti coperti di vegetazione, tra risaie e villaggi fino al passo di Puncak da dove si gode un panorama stupendo, proseguendo poi per il piú accessibile del vulcani attivi di Giava, il Tangkuban Perahu che ha incantato generazioni di visitatori affacciandosi sul suo cratere per uno dei tanti magnifici spettacoli naturali dell’ isola.Tra le grandi piantagioni che si stendono tagliate da strade e sentieri che conducono a piccoli villaggi e le risaie che ordinano simmetricamente la pianura, arrampicandosi a terrazze sui rilievi dove hanno conteso la terra alle foreste, si attraversa Giava occidentale fino al vasto altopiano circondato dai vulcani che dominano, come una cornice di coni, quello che nella preistoria era un immenso lago.Giava centrale è sempre stata collegata fin dall’ epoca dei regni hindu e poi i sultanati islamici alla costa orientale dove incrociavano le rotte dell’ antica Via delle Spezie e sorsero i porti che ne accoglievano i vascelli cosmopoliti. Sullo stretto che separa Giava da Madura e alla foce del fiume Mas, su un antico centro commerciale gli olandesi edificarono Surabaya nel XVII secolo tra i vecchi quartieri cinesi, arabi, malesi e giavanesi, che sopravvivono con i loro bassi edifici lungo le strade sulle quali sorsero poi i grandi palazzi moderni che ospitano le sedi delle grandi aziende, industrie, banche e centri commerciali. Negli anni trenta lo sviluppo del porto e la grande produzione di zucchero fece crescere la vecchia cittadina cosmopolita fino a divenire uno dei piú grandi centri industriali dell’ Indonesia con i grandi cantieri navali, le fabbriche di automobili, i complessi tessili, chimici, meccanici e alimentari, la lavorazione del caucciù e tabacco, le grandi raffinerie di petrolio. Una metropoli caotica seconda solo a Jakarta, dal grande fermento produttivo e residenza dei grandi capitalisti indonesiani, multinazionali e intrigo di affari internazionali che contrastano anche qui con il miserabile hinterland prodotto da migrazioni dalle campagne con il miraggio della grande città cresciuta tanto in fretta. Poco distante da Surabaya un braccio di mare divide la costa dalla grande isola di Madura, dove la popolazione conserva antiche tradizioni, tra le quali la più curiosa è la periodica corsa dei bufali che richiama migliaia di visitatori. Contrade e villaggi si preparano a lungo per la gara cerimoniale preceduta da festeggiamenti più o meno pittoreschi che culminano in una manciata di secondi durante i quali i bufali si lanciano in furibonde e suggestive corse trainanti una sorta di carretto di bambu privo di ruote sul quale esperti fantini locali dai costumi sgargianti si cimentano nella gara che sembra avere antiche origini tribali.Sul suggestivo altipiano di Giava centrale, gli olandesi nel 1810 fondarono Bandung per le vacanze dei funzionari, una settantina di anni dopo fu collegata dalla ferrovia a Bogor e divenne un grande centro amministrativo della colonia fino alla seconda guerra mondiale, quando fu occupato dai giapponesi e poi preso dagli alleati che vi stabilirono il quartier generale. Divenne celebre per la prima Conferenza Intercontinentale dei Paesi Afroasiatici, promossa da governo indonesiano di Sukarno dal 18 al 24 aprile 1955, alla quale parteciparono ventiquattro stati indipendenti asiatici e sei africani. Dall’ epoca della conferenza la città si è ingrandita, divenendo uno dei maggiori centri commerciali indonesiani per i prodotti agricoIi, grandi industrie per la lavorazione del caucciù, alimentari, tessili, chimiche, farmaceutiche e meccaniche. E’ divenuto un importante centro culturale con quattro università, vari istituti scientifici, tra i quali uno dei piú importanti istituti vulcanologici dell’ Asia, ed è stata anche la prima attrezzata per il turismo in Indonesia e tutt’ ora frequentata dalla borghesia indonesiana che si gode il clima montano e gli incantevoli dintorni, forse troppo simile alla vecchia Europa per attirare gli stranieri che in Indonesia cercano l’ esotico
La culla della civiltà giavanese
Da Bandung si continua verso Giava orientale tra paesaggi sempre più suggestivi fino ai centri di Wonosobo e Malang, da dove si sale sui duemila metri dell’altopiano di Dieng, tra magnifiche montagne e vulcani, laghi che splendono tra strette valli alternati a sorgenti solfuree e improvvisi gyser che fumano il ribollire dell’ attività vulcanica del sottosuolo.In questo magnifico scenario sorsero i primi templi dell’ antica civiltà hindu giavanese che si ergono improvvisi lungo le strade che seguono le antiche vie che collegavano le città e i centri fioriti tra il IV e il IX secolo, intrisi delle gesta leggendarie di eroi e sovrani, miti e cronache dei viaggiatori indiani e cinesi che descrissero ammirati i regni di Giava.Dall’ indimenticabile suggestione della traversata dell’ altipiano di Dieng si giunge alle città di Yogyakarta, Surakarta e la più distante Semarang, collegate alla costa settentrionale che vide il grande traffico marittimo sulla leggendaria Via delle Spezie.Yogyakarta conserva il suo passato che la vide protagonista nel medioevo gavanese, centro deI grande sultanato islamico di cui rimane il Palazzo del Sultano Kraton e quella che fu la poderosa fortezza di Tamansari, i vecchi quartieri con le botteghe artigiane e le fabbriche tradizionali dei tessuti batik, gli animatissimi mercati e le vie trafficate da calessi che contrastano con il traffico moderno, poco distante il centro di Surakarta e il palazzo dove i sultani governarono dalle splendide corti il dominio islamico su Giava orientale.Fuori Yogyakarta si erge il vasto complesso sacro hindu di Prambanan, edificato all’ inizio del X sec.d.C. dal sovrano Dksha della dinastia di Mataram, che costituisce il culmine della grande arte e architettura hindu giavanese della quale i precedenti suggestivi esempi sono disseminati nel suggestivo altipiano di Dieng. Un magnifico recinto quadrato dalle alte e mura racchiude il tempio a terrazze, su una più elevata sorgono due tempietti candi, che contenevano i tesori del tempio,davanti i quali stavano i sacrari delle mitiche cavalcature delle divinità supreme della Trimurti e su quella superiore altri tre candi più imponenti, il centrale LoroIongrang consacrato a Siva, i laterali a Bráhma e a Visnu.Poco distante sorge una delle meraviglie architettoniche della storia, il fantastico Borobodur edificato dalla dinastia Shailendra all’inizio del IX secolo d.C. e a lungo dimenticato nella fitta vegetazione che l’ avvolgeva dopo la caduta dei regni giavanesi fino a quando fu riscoperto nel secolo scorso e magnificamente restaurato da archeologi ed architetti olandesi per quattro anni dal 1907. Ammirato nella sua grandiosa e raffinata perfezione dai visitatori per ottanta anni, fu oggetto della criminale stupidità di un gruppo di rozzi integralisti islamici nel 1985 che lo danneggiarono seriamente nella loro irrazionale furia iconoclasta, ma tornò a splendere nuovamente ad incantare il mondo. Non è un sempice tempio o monastero, è l’ ardita raduzione architettonica di un mandala, raffigurazione del percorso della meditazione buddista attraverso i piani della progressiva perfezione dello spirito fino al culmine dell’ illuminazione, di già gran difficoltà nelle varie rappresentazioni pittoriche di cui l’ universo buddista è ricco, incredibile in questa sua grandiosa realizzazione in pietra. In esso vi è anche la più sorprendente realizzazione del mitico Monte Kailas, sede dell’ immenso Pantheon buddista derivato dall’ induismo e suprema immagine della dottrina maháyána. Un enorme base quadrata con centoventotto metri di lato che sorregge il culmine del sacrario incrociata simmetricamente da quattro grandi rampe di scale da dove si sviluppano perfettamente gallerie concentriche fittamente decorate da bassorilievi e una miriade di piccoli tempi che contengono le immagini del Budda e dei Bodhisattva. Sul piano più alto sorgono tre terrazze rotonde che contengono i sacrari stúpa attorno ad uno più grande ed elevato che domina il magnifico complesso mirabilmente decorato da milletrecento lunghi pannelli di bassorilievi che si sviluppano per quindici chilometri di bassorilievi, apogeo dell’ arte plastica e scultura della civiltà giavanese.I bassorilievi accompagnano costantemente il visitatore che segue il rito buddista della deambulazione attorno allo stupa centrale e, allo stesso tempo il percorso spirituale del mandala, inducendo alla meditazione meditazione. Si parte dalle gallerie inferiori, dove i bassorilievi rappresentano le vane apparenze della vita terrena, la noia della quotidianità e il drammatico universo infernale; quindi si sale concentricamente a meditare sulle scene di vita del Buddha, i suoi seguaci illuminati Bodhisattva, e il senso di liberazione raggiunto dai saggi asceti che ne hanno seguito le vie.Le magnifice rappresentazioni sono intercalate da statue di spiriti e divinità hindu e scene del poema mitologico Ramahyana fino ai tempietti candi consacrati alle supreme divinità hindu della Trimurti Bráhma e Visnu.La parte piú orientale di Giava è dominio della natura con il vasto altipiano di Malang dove si succedono boschi popolati da animali, torrenti, laghetti e cascate e si ergono solitari gli antichi templi hindu, testimonianza della grande civiltà che sopravvisse per secoli fino all’ invasione islamica nel medioevo.Continuando nel suggestivo ambiente naturale, tra villaggi tradizionali e piccoli centri, l’ imponente sagoma del vulcano Bomo domina magnificamente l’ ultimo lembo orientale di Giava e le sue viscere ribollenti che soffiano da sempre la potenza della montagna l’ anno reso sacra dimora di potenti spiriti e divinità, oggetto di riti e cerimonie.Un’ indimenticabile suggestione ascenderne i contrafforti prima del sorgere del sole assieme ai fedeli di antichi riti che recano animali da sacrificare nell’ immenso cratere lambito dalle luci dell’ alba in uno spettacolo grandioso che accomuna nell’ ammirazione indigeni, personaggi che attendono i presagi dai sacrifici propiziatori e visitatori giunti da molto lontano. L’ultimo lembo di Giava affaccia a oriente sullo stretto che la separa da quella che fu l’ emanazione della sua antica civiltà hindu, qui affidata alle splendide testimonianze archeologiche del suo perduto passato, ma oltre il breve braccio di mare attraversato quotidianamente dai traghetti ancora pulsante nel suo splendore arricchito da tradizioni e costumi più antichi dell’ Isola degli Dei Bali.