Il Paese degli Tswana
..Se guardo dal fondo dell’abisso dal lato della sponda destra, non si distingue che una nube fitta la cui massa bianca, nel momento in cui la guardo, è circondata da brillanti arcobaleni..
[dropcap]N[/dropcap]on è la descrizione di qualche mondo fantastico, ma una delle annotazioni prese da Livingstone nel novembre del 1855 davanti lo spettacolo del Mosi-O-Tunya, il “Fumo che tuona”, meglio noto come cascate Vittoria. Il fiume Zambezi precipita fragorosamente tra immensi spruzzi d’ acqua che provocano una pioggia perenne in una vasta area circostante, rifrangendo la luce e producendo quei fantastici arcobaleni che continuano ad incantare i visitatori fin dai tempi del celebre esploratore britannico.
Poco è cambiato in questo luogo considerato uno dei più affascinanti dell’intera Africa che ho scelto come punto di partenza per uno degli itinerari sulle vie dei primi esploratori che ho compiuto nel continente Nero.
Qui corre il confine tra Zambia e Zimbabwe e poco più a sud si stende quello che all‘ epoca di Livingstone era ancora il misterioso e selvaggio “territorio degli Tswana’‘ Botswana, con la sua savana, le paludi del nord e il deserto del Kalahari che lo stesso grande esploratore non osò affrontare, aggirandolo, per raggiungere il lago Ngami. I 600.372 Kmq. di questo territorio rappresentano una delle zone meno popolate del continente, dominio di una Natura grandiosa e selvaggia, alla quale si sono adattate popolazioni che hanno vissuto isolate per secoli conservando culture originarie. La più numerosa è quella degli Tswana del gruppo linguistico Sotho e spinti qui dalle tribù Ndebele prima e dai coloni boeri e inglesi poi, tradizionalmente divisi in monarchie indipendenti che sopravvivono con i loro sistemi culturali e sociali dei gruppi Ngwaketae, Bukgatla, Bakgafela, Newato e Bakwena, i cui consigli tribali mantengono i rapporti con l’autorità statale.Dopo la frontiera con lo Zambia a Kazangula , in un villaggio si tiene un grande raduno di tutti i gruppi della regione che culmina in uno spettacolo per ricordare le antiche leggende tribali, le figure mitologiche e gli episodi del la memoria collettiva, isolati dagli altri spettatori assistono i capi Kgosi e i discendenti degli antenati fondatori che costituiscono l ‘aristocrazia Tswana.Ogni clan possiede propri simboli totemici che rappresentano l’ animale che nell’ età mitica aiutò l’antenato a creare la sua stirpe: il coccodrillo per il clan dei Kwena, l’ antilope per i Palong, la gazzella per i Nguato, la scimmia per i Kgathla e l’ elefante per i potenti Kalahari. La vita spirituale è fondata su una radice linguistico concettuale, Dia, che indica l’ Energia Vitale presente in tutte le cose e per la quale MoDima è l’ Essere Supremo, i No-Dima sono le entità soprannaturali e gli antenati mitici, Mo-Dima gli spiriti malvagi che minacciano la collettività e contro i quali occorre l’esercizio della magia esorcistica, infine vi sono gli spiriti benigni della Natura che hanno sede nelle piante della savana, oggetto di culto e offerte votive.Come nel resto dell’ Africa tradizionale l’ esistenza sociale e spirituale trae essenza dall‘ ambiente in un equilibrio che non deve essere mai turbato, salvaguardandolo con le immutabili leggi della tradizione in tutti i suoi componenti: le piante, gli animali, i fenomeni naturali come le cascate Nosi-O-Tunya e la selvaggia regione del Chobe.Un’ enorme savana popolata da una grande varietà di animali nella quale la presenza umana è sporadica, il Chobe è ancora un’ Africa arcaica dove si viaggia su piste impegnative accampandosi con i fuochi accesi per tenere lontano i predatori. La stagione delle piogge appena terminata ha lasciato piccoli stagni che attirano elefanti, giraffe, bufali, gazzelle e antilopi, mentre il cielo è animato da centinaia di uccelli di specie diverse: la dimensione di un’ Africa “senza tempo che cresce nei giorni di traversata de parco fino ai margini del Kalahari.All’alba gli animali che si abbeverano negli stagni provvisori a gruppi, quando il sole è alto e arroventa la terra la vita sembra sospesa e cerca riparo dal calore negli angoli più nascosti, per poi riprendere nel tardo pomeriggio in un continuo vagare alla ricerca di prede o di pascolo.
Botswana: dall’Okavango al Kalahari
Maun è un piccolo centro ai margini del deserto e vicino il delta dell’Okavango, uno dei maggiori santuari naturalistici del Continente Nero, creato dal fiume Cubango che nasce nella lontana Angola dove si gonfia nella stagione delle piogge e arriva qui defluendo in migliaia di canali e paludi in un‘ area vastissima, habitat ideale per una incredibile varietà di animali. In questo periodo il delta non è ancora inondato ed è una vastissima prateria solcata da centinaia di canali dove si aggirano branchi di animali, al centro le paludi in un susseguirsi di canneti, distese di piante acquatiche, enormi termitai ed isolotti coperti di vegetazione dove si concentrano elefanti, bufali, gru, zebre, antilopi, gazzelle e kudu, felini predatori tra i quali il leone dell’Okavango abilissimo nuotatore; enormi coccodrilli, tartarughe e vari rettili. Un’ incredibile varietà di uccelli in grandi colonie: pellicani, ibis, aironi, anatre, aquile pescatrici, le oche dello sperone plectoperris gambensis, aironi guardiabuoi bubuleus ibis, aquile maculate aquila panama, cicogne di abdin sphermorynchus abdin e molte altre specie rare. Le prime notizie sugli abitanti dell’Okavango furono fornite dall’esploratore Ander nel 1858, di un confederazione tribale chiamata Ovanquangari, dalla quale discendono le attuali trenta tribù sparse nell’immenso delta e in villaggi isolati di capanne circolari dal tetto conico di paglia sugli isolotti meno soggetti alle piene. L’ economia è ricavata in gran parte dall’ambiente circostante che offre un’inesauribile fonte per la caccia e la pesca, l’allevamento, ritenuto di grande prestigio sociale e; presso alcune tribù, di valore religioso dato che i bovini sono consacrati a gli antenati. Gli Okavango conoscono da sempre ogni segreto del Delta e si prestano a guidare i visitatori tra gli intricati canali delle paludi dove è possibile muoversi solo con le loro sottili piroghe per raggiungere le zone più ricche di fauna, poi lunghe escursioni a piedi attraverso la savana degli isolotti maggiori in un mare di erba alta tra baobab e termitai dove osservare mammiferi grandi e piccoli e gli onnipresenti uccelli.Nella regione confinante con la Namibia sono migrate comunità Herero provenienti dal paese limitrofo, come altre popolazioni possedevano usanze e costumi propri, tra cui la quasi totale mancanza di indumenti, ma nel XVII secolo entrarono in contatto con i primi coloni olandesi e tedeschi che si insediarono nei in Namibia e, rimasero affascinati dagli abiti delle europee. In breve le donne Herero sostituirono la loro tradizionale nudità con sottane, gonne, corpetti e copricapi delle colone e da tre secoli esibiscono come loro costume tradizionale gli ingombranti e variopinti abiti delle contadine olandesi e tedesche della fine del ‘ 600.Da Maun la pista corre lungo il letto asciutto del fiume Nhabe verso il lago Ngami, il cui fenomeno di evaporazione è unico: quando vi giunse Livingstone nel 1849 si estendeva per circa 300 Km., undici anni dopo Baines lo trovò ridotto alla metà, più tardi il geografo Siegred Passarge lo misurò in 600 Km., nel 1950 era completamente asciutto, nel 1974 ridiventato un vasto lago, quando ci sono arrivato la prima volta era scomparso nuovamente.Dopo il curioso lago Ngami e fino al fiume Orange in Sud Africa, si stende l ‘ immenso Kalahari, parola derivata dal Tswana Kgalagadi che significa deserto, una sconfinata distesa sabbiosa interamente coperta da arbusti; basse acacie e piccole piante dagli strani fiori di vita brevissima.
La traversata del Kalahari inizia monotona e faticosa in una steppa che si stende per centinaia di chilometri vivacizzata solo da branchi di struzzi, poche gazzelle e antilopi che fuggono spaventate al rombo del camion che arranca nella sabbia. Solo quando scende il sole, portandosi via il suo calore e la luce abbacinante, il deserto acquista una dimensione unica, con tramonti stupendi e la notte che lo trasforma completamente, basta allontanarsi di pochi passi dalla luce del fuoco per “scoprire” un cielo incredibilmente terso dove si distinguono chiaramente stelle e costellazioni australi e splende Croce del Sud.
Boscimani africani
Abbandonando la pista principale si entra nella regione interna dove sembra riescano a sopravvivere solo serpenti e scorpioni, tuttavia vi sopravvivono gli “Uomini Scorpione” che i Boeri chiamarono “uomini della boscaglia” bosjemen e ben presto ne fecero oggetto di una caccia spietata. I loro antenati erano diffusi in un area vastissima, testimoniato dalla grande quantità di pitture ed incisioni rupestri sparse in tutta l’Africa australe, probabilmente portatori di una cultura originale della quale si è persa memoria. Nel XV secolo i boscimani furono costretti a rifugiarsi nelle zone più inospitali dall’ invasione delle tribù bantu, ma fu nel XVII0 secolo che iniziò il loro genocidio con l ‘arrivo degli europei che ne provocò l’ estinzione in sud Africa.
Attualmente sopravvivono piccoli gruppi di Ai-Hum nelle regioni dell‘ Etosha e nel deserto di Namib in Namibia, la maggior parte vive nel Kalahari divisa nei gruppi di Kaudan, Naon ,Aukwe e in quello più numeroso dei Kung che probabilmente conta circa 4000 individui.I Boscimani o San non hanno parentele con altre popolazioni africane, dalle quali si differenziano anche somaticamente con pelle giallastra, occhi mongolici, bassa statura e la sorprendente rugosità della pelle. Fondano la loro esistenza sulla caccia nella quale si servono di frecce avvelenate con sostanze vegetali potenziate dal veleno di scorpioni e serpenti, riunendosi in “bande” venatorie nomadi o seminomadi alla continua ricerca di selvaggina ed acqua, il bene più prezioso nel Kalahari che spesso devono succhiare dalla sabbia umida delle buche da cannucce con una specie di filtro di erba, quando riescono ad approvvigionarsi del prezioso liquido lo conservano in uova di struzzo che seppelliscono lungo i sentieri di caccia per la sopravvivenza durante gli inseguimenti della selvaggina o i periodici spostamenti.Una condizione di vita difficilissima che non ha impedito di sviluppare un ordinamento sociale e spirituale che aborrisce ogni forma di gerarchia, potere e violenza in una grande libertà individuale e armonia nella quale l’ unico motivo di controversia è dato dai frequentissimi adulteri risolti in una “sfida” incruenta tra i rivali. Nei rarissimi casi che un membro si manifesti troppo prepotente e violento la comunità ne decide l’ allontanamento e nei casi più gravi la soppressione, alla quale partecipano tutti per assumerne collettivamente la responsabilità. E’ molto difficile incontrare boscimani nel Kalahari per i loro continui spostamenti, ma ormai diversi gruppi cominciano ad accamparsi in zone relativamente più frequentate nella speranza di ottenere cibo, specialmente nei periodi di scarsa selvaggina. Ho avuto il mio primo incontro con loro in uno di questi piccoli accampamenti di rudimentali capanne di arbusti, indossano alcuni indumenti europei ormai laceri che accentuano l’ impressione di estrema povertà. Abituati a contatti sporadici, manifestano una grande curiosità che si attenua progressivamente e tutti tornano alle loro attività, poi all’ improvviso iniziano a danzare e continuano alla luce dei fuochi, probabilmente per celebrare un caso di pacificazione o una battuta di caccia fortunata. Anche per i boscimani esiste una misteriosa “energia vitale” che domina l ‘Universo dove è presente una grande quantità di spiriti ed esseri soprannaturali a cui rivolgersi con pratiche magiche e divinatorie; tutta la loro mitologia è legata alla Natura e alla memoria di un antichissimo culto astrale originario al quale si è sostituito il culto di Kang, il “Grande Capitano” E’ il protettore degli animali e della caccia, delle piante e della pioggia e si manifesta attraverso la mantide, alla divinità benefica si contrappone quella malefica di Gauab che provoca calamità e malattie manifestandosi attraverso i morti. Alla morte lo spirito e va in cielo da Kang accanto il quale, curiosamente, vi sono anche gli spiriti dei bianchi, sulla terra rimangono le “copie” malvagie dei defunti che risiedono nei sepolcri heitsiebib, trasformandosi in spettri vaganti che infestano la terra, da seppellire quindi in profonde buche o a volte abbandonare i moribondi e l’ accampamento dove sta per avvenire il decesso. Nei miserabili accampamenti del Kakahari mi chiedevo dove mai alcuni miei colleghi abbiano fotografato quei cacciatori nudi, liberi e “felici” apparsi su libri e riviste, forse ne sopravvivono alcuni “esemplari”, ma qui si vedono solo individui coperti di stracci che spesso mendicano un pò di cibo, ai margini di un mondo che non capiscono e dal quale sono inevitabilmente travolti.L’ultimo tratto della pista attraversa la parte orientale del deserto lasciando grandezze e miserie del Kalahari e del suo popolo, un’ ultima notte con lo sguardo perso tra le infinite gemme stellari di quel cielo fantastico a cercare la Croce del Sud , alle spalle centinaia di chilometri di pista tra savane, paludi e deserti del Botswana.
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